Come trattare a fini Tasi gli immobili concessi sotto
forma di fringe benefit da una società a un dipendente, oppure ad un
amministratore?
Il dubbio nasce dalla lettura dei commi 669 e 681 dell’articolo
1 della legge di stabilità per il 2014 (legge 147/2013). Infatti, il primo dei
due stabilisce come requisito oggettivo, ai fini dell’applicazione della Tasi,
«il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di fabbricati, ivi compresa
l’abitazione principale come definita ai fini dell’imposta municipale propria».
Questo requisito sembra sussistere nel caso in cui
l’immobile sia concesso in uso al dipendente o amministratore della società in
fringe benefit: questo tipo di emolumento retributivo (in base all’articolo 51,
comma 4, lettera c) del Tuir) consente di beneficiare di una tassazione
agevolata e (in base al successivo articolo 95, comma 2) di una piena
deducibilità in capo alla società dei costi afferenti al fabbricato nel caso in
cui gli assegnatari vi trasferiscano la residenza, sia per il periodo d’imposta
del trasferimento che per i due successivi .
Questo distinguo, in termini di benefit, assume rilievo
in relazione al fatto che «nel caso in cui l’unità immobiliare è occupata da un
soggetto diverso dal titolare del diritto reale sull’unità immobiliare,
quest’ultimo e l’occupante sono titolari di un’autonoma obbligazione
tributaria». In questo caso, infatti, la norma prevede che l’occupante versi la
Tasi «nella misura, stabilita dal comune nel regolamento, compresa fra il 10 e
il 30 per cento dell’ammontare complessivo». A ciò si aggiunga che, la stessa
norma istitutiva, ha previsto (al comma 673) che, nell’ipotesi in cui la
detenzione abbia una durata non superiore a sei mesi, nel corso del medesimo
anno solare, il tributo non va versato dal detentore.
Vediamo ora le possibili soluzioni. Una prima ipotesi che
può delinearsi è quella in cui la società conceda in uso al dipendente
l’immobile in fringe benefit senza che questo vi trasferisca la residenza. In
tal caso, il tributo va versato integralmente dalla società solo nel caso in
cui la detenzione dell’immobile da parte del dipendente sia inferiore a sei
mesi. Altrimenti, per durate superiori, la «detenzione a qualsiasi titolo»
farebbe scattare l’obbligo di pagare la percentuale compresa tra il 10 e il 30
per cento.
Ma qui cominciano i problemi, perché – trattandosi di un
bonus – il dipendente potrebbe anche non utilizzare l’appartamento messogli a
disposizione, senza assumere così la qualifica di occupante. Del resto, per il
Comune potrebbe diventare un compito diabolico riuscire a dimostrare, in
assenza di un vero e proprio contratto di locazione o comodato registrato, né
di una residenza anagrafica, la detenzione da parte del dipendente e il
relativo pro-quota di imputazione del tributo.
A questo punto, una soluzione pratica è quella che la
società comunichi l’intervenuto accollo della quota del detentore al Comune,
sulla base di quanto previsto dall’articolo 8 dello Statuto del contribuente
(legge 212/2000). Soluzione peraltro non preclusa neppure nell’ipotesi in cui
il dipendente trasferisca la residenza nell'immobile, oltre che - in generale -
in altri casi di occupazione del fabbricato.
Testata: Il Sole 24 Ore
Autore: Pierpaolo Cerolie Gianluca Natalucci