Nelle visure catastali degli immobili solo dallo scorso novembre ha fatto la comparsa la superficie catastale espressa in metri quadrati, indicando i valori complessivi e al netto delle aree scoperte; la Legge richiede di includere balconi e terrazzi in quota parte. Questo però rischia di creare non poca confusione. Nonostante il comunicato dell’Agenzia del 9 novembre spieghi che la superficie catastale sia utile «ai fini Tari, per consentire ai cittadini di verificare con facilità la base imponibile utilizzata per il calcolo della tassa rifiuti», nei fatti il parametro che si applica per il calcolo di questa tassa è ancora quello della superficie calpestabile.
Utile è sapere che sono già dieci anni che il legislatore prova a individuare quale superficie imponibile minima proprio l’80% per cento della superficie catastale.
Il primo intervento normativo si è avuto con l’articolo 1, comma 340 della legge n. 311/2004 con il quale si disponeva che a decorrere dal 1° gennaio 2005 per gli immobili a destinazione ordinaria la superficie imponibile non poteva «in ogni caso» essere inferiore all’80% della superficie catastale determinata secondo i criteri dettati dal Dpr n.138/1998. Nel 2006 questo criterio è stato esteso anche alla Tia.
Si arrivò così alla Tares disciplinata dal Dlgs n. 201/2011 che prevedeva l’imposizione sulla base della superficie calpestabile, almeno fino all'attivazione delle procedure di allineamento tra i dati catastali relativi alle unità immobiliari a destinazione ordinaria e i dati riguardanti la toponomastica e la numerazione civica interna ed esterna di ciascun comune, «al fine di addivenire alla determinazione della superficie assoggettabile al tributo pari all’80 per cento di quella catastale».
Utile è sapere che sono già dieci anni che il legislatore prova a individuare quale superficie imponibile minima proprio l’80% per cento della superficie catastale.
Il primo intervento normativo si è avuto con l’articolo 1, comma 340 della legge n. 311/2004 con il quale si disponeva che a decorrere dal 1° gennaio 2005 per gli immobili a destinazione ordinaria la superficie imponibile non poteva «in ogni caso» essere inferiore all’80% della superficie catastale determinata secondo i criteri dettati dal Dpr n.138/1998. Nel 2006 questo criterio è stato esteso anche alla Tia.
Si arrivò così alla Tares disciplinata dal Dlgs n. 201/2011 che prevedeva l’imposizione sulla base della superficie calpestabile, almeno fino all'attivazione delle procedure di allineamento tra i dati catastali relativi alle unità immobiliari a destinazione ordinaria e i dati riguardanti la toponomastica e la numerazione civica interna ed esterna di ciascun comune, «al fine di addivenire alla determinazione della superficie assoggettabile al tributo pari all’80 per cento di quella catastale».
Identica disciplina è prevista anche per la Tari, di cui alla legge n. 147/2013, il comma 645 prevede però che il passaggio dalla superficie calpestabile alla superficie catastale si avrà a decorrere dal 1° gennaio successivo alla data di emanazione del provvedimento del Direttore dall'agenzia delle Entrate con il quale si attesta l’avvenuto allineamento tra i dati catastali e la numerazione civica. Ma l’allineamento ad oggi non è ancora avvenuto, e quindi dopo dieci anni la superficie catastale non può essere utilizzata ordinariamente come metro di misura per l’applicazione della tassa rifiuti, ma solo dal Comune in sede di accertamento (comma 646).
Da un lato, quindi in visura appare la superficie catastale al netto dei balconi; dall'altro, la normativa primaria impone di considerare la superficie catastale che comprende una quota-parte dei balconi.