Analizziamo un altro aspetto rilevante circa l’applicazione
dell’imposta municipale propria sugli immobili, ovvero la passività imu
relativa al coniuge superstite titolare del diritto di abitazione.
Tale fattispecie crea da sempre non pochi fraintendimenti
tra i contribuenti e gli uffici tributi, i quali si trovano non poco spesso a
dover affrontare tale disciplina anche nelle Commissioni tributarie.
Innanzitutto partiamo con il 28 marzo 2013, data in cui il
Ministero delle Finanze ha pubblicato la Risoluzione n. 5/DF nella quale
affronta alcune tematiche inerenti l’Imposta Municipale Propria (IMU). Tra
queste, la casistica legata alla casa coniugale e al suo assoggettamento ad
Imu. In via generale, ai sensi del comma 2 dell’art. 13 del D.L. 201/2011,
l’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili, ivi
compresa l’abitazione principale e le relative pertinenze. La novità dell’Imu
rispetto alla precedente Ici è stata proprio quella di sottoporre a tassazione
non solo le abitazioni secondarie ma anche l’abitazione principale del
contribuente, quella, per intenderci, dove il contribuente risiede
anagraficamente e dimora abitualmente con il suo nucleo familiare. Nelle varie
tipologie troviamo quella della casa coniugale abitata dal coniuge superstite. E’
il caso del coniuge che, a seguito della morte dell’altro coniuge, continua ad
abitare la casa coniugale a titolo di diritto di abitazione. In questo caso il
coniuge superstite gode del possesso dell’immobile e, quindi, egli è il
soggetto passivo ai fini dell’applicazione dell’Imu, sarà egli tenuto, cioè, al
versamento dell’imposta.
Il coniuge superstite è tenuto al versamento dell’Imu dunque
in quanto titolare del diritto di abitazione, a prescindere dal fatto che la
proprietà del bene sia ereditata dai figli e anche dal fatto che risieda
formalmente in un altro immobile. A dare ancora più forza a tale orientamento è
la Ctp di Reggio Emilia, con la sentenza 103/2/2017 del 7 aprile 2017, che
ribadisce tale principio.
Il coniuge superstite titolare del diritto di abitazione
nell’ex casa coniugale è, al pari dell’usufruttuario, l’unico soggetto passivo
ai fini delle imposte Imu-Tasi, a prescindere non solo dalle reali quote di
possesso in cui è suddiviso l’immobile, ma anche a prescindere dall’effettiva
fruizione dello stesso diritto di abitazione. La condizione fiscale dei
cosiddetti “coniugi superstiti”, soprattutto in relazione ai tributi locali, è
una di quelle su cui i contribuenti tendono maggiormente a fare domande.
Fondamentalmente le casistiche possono raggrupparsi in due grosse tipologie: da
una parte vi sono infatti i coniugi superstiti che scelgono di restare a vivere
nella casa un tempo condivisa col coniuge defunto, e poi vi sono quelli che
lasciano l’immobile per trasferirsi. Ad ogni modo, sussistendo il diritto di
abitazione, la sostanza non cambia: sono
loro gli unici a dover pagare le imposte locali. È proprio questa la chiave: il diritto di abitazione,
sancito dall’articolo 540, comma 2, del Codice Civile, presuppone il godimento, riservato al solo coniuge
superstite, anche quando concorra all’eredità
con altri chiamati, dei diritti abitativi sulla casa adibita a residenza
familiare e dei diritti di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del
defunto.
Fermo restando che il diritto di abitazione, come quello di
utilizzo, non è cedibile a terzi, dal punto di vista fiscale la titolarità del
diritto costituisce presupposto dell’imposta, dunque, come abbiamo detto, il
coniuge superstite - in veste di titolare del diritto di abitazione -, è, al
pari dell’usufruttuario, l’unico soggetto passivo d’imposta, e in quanto tale
deve corrispondere i tributi in relazione all’intero immobile sul quale grava
il diritto, indipendentemente dalle reali quote di possesso. Viceversa gli
altri eredi, in quanto nudi proprietari, non saranno tenuti al versamento
dell’imposta. Da precisare, però, che nel caso il coniuge superstite rinunci
esplicitamente e formalmente, in forma scritta tramite atto notarile, al
godimento del diritto di abitazione, l’onere fiscale andrà a ricadere pro-quota
su tutti gli eredi coinvolti.
Si ipotizzi allora il caso di un coniuge superstite che
mantenga il diritto di abitazione sull’ex casa coniugale restandoci a vivere da
solo o con i figli, eredi a loro volta di una quota di immobile. In tal caso il
coniuge superstite sarà tenuto a versare la sola Tasi sull’intera abitazione
principale avendo appunto mantenuto residenza e dimora nell’immobile. Stesso
meccanismo se il coniuge superstite dovesse lasciare l’abitazione e trasferirsi
altrove. In tal caso sarebbe sempre lui a dover pagare l’Imu con aliquote
seconda casa. Aspetto peculiare ha approfondito la Ctp di Reggio Emilia
nella sentenza sopra citata, è il caso in cui i coniugi avessero la residenza
anagrafica in due Comuni diversi, ma i giudici hanno statuito che non basta ciò
a derogare al contenuto della disposizione: il legislatore, infatti, ha voluto
costituire il diritto di abitazione nella casa adibita a “residenza familiare”
e non “anagrafica”. La commissione richiama anche il Decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 221/1999 il quale all’articolo 1-bis, comma 4, stabilisce
che i coniugi che hanno diversa residenza fanno parte dello stesso nucleo
familiare, identificato sulla base della famiglia anagrafica di uno dei
coniugi, di comune accordo corrispondente alla residenza familiare. Fa
eccezione solo il caso in cui è intervenuta una separazione giudiziale o
consensuale, oppure quando la diversa residenza è consentita a seguito di
provvedimento del giudice e, infine, quando uno dei coniugi è stato escluso
dalla potestà sui figli o è stato adottato il provvedimento di allontanamento
dalla residenza familiare. Nel caso di specie pertanto, il diritto di
abitazione in capo alla madre era evidente, considerata l’unico soggetto
passivo.
Quanto sopra mantiene comunque le continue evoluzioni
normative, le quali ad oggi permettono l’esenzione totale del versamento Imu
per l’abitazione principale, come ampiamente analizzato nell’articolo L'IMU E I CASI DI ESENZIONE