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31 luglio 2017

ATTI IN RETTIFICA: REVOCA PARZIALE DELL’ATTO ORIGINARIO

Allacciandoci ai precedenti articoli sull'autotutela comprendiamo come è sicuramente frequente e comunque possibile che l’Amministrazione, in corso di giudizio o nell'espletamento dell’ordinaria attività amministrativa si trovi di fronte all'esigenza di dover modificare e pertanto annullare o rettificare taluni fra gli atti emessi dallo stesso Ufficio.

Capita invero che si riscontri l’esigenza di dover diminuire la pretesa tributaria inizialmente imputata con un generico avviso di accertamento, così, nella piena facoltà di intervenire in autotutela ad esempio, l’ufficio apporti all'atto originario una revoca parziale. Revoca che ai fatti corrisponde in una mera modifica dell’importo dunque, giammai degli effetti dell'avviso emesso.

A tal proposito rammentiamo che la rettifica di un atto amministrativo consiste nell'eliminazione di errori ostativi o materiali in cui l’amministrazione sia incappata, di natura non invalidante ma che diano luogo a mere irregolarità. Di conseguenza il provvedimento in rettifica è espressione di un ulteriore atto di contenuto identico al precedente ma corretto dai suoi vizi. 

Le azioni quindi si sostanziano in due momenti, il ritiro dell’atto impositivo originario e la successiva emanazione dell'atto con le modifiche apportate, ma identico nel contenuto.

Tale facoltà di rettifica è ravvisabile nel potere di sostituzione, meglio conosciuto come autotutela sostitutiva, che viene a compiersi ogniqualvolta l’atto originario non deve necessariamente essere annullato, ma semplicemente “rimpiazzato” da altro corrispondente. L’avviso di accertamento emesso in sostituzione, viziato da errore materiale evidente, non costituisce dunque espressione del potere di autotutela integrativa, ed è esperibile anche in assenza di sopravvenuti nuovi elementi che danno facoltà all'Ufficio di muovere le proprie tutele.

Appare pertanto più che condivisibile l’orientamento giurisprudenziale che viene confermato dalla Suprema Corte con sentenza 17516 del 14 Luglio scorso, andando ad ingrossare il già ampio bacino di sentenza aderenti allo stesso principio (cass. civ. 11699/2016, cass. civ. 22019/2014, cass. civ. 21567/05, cass. civ. 12814/2000) per il quale, la modificazione in diminuzione della pretesa originaria - proprio perché non mira ad identificare una pretesa tributaria "nuova" rispetto a quella precedente - si risolve in una mera riduzione e, quindi, in una revoca parziale del relativo avviso di accertamento e non richiede necessariamente la formalizzazione in atto impositivo integralmente sostitutivo del precedente. Ne consegue che è errato ritenere che l'emanazione degli avvisi in rettifica possa determinare la caducazione degli avvisi di accertamento originari.

Anche se viene a dichiararsi che non è necessario la formalizzazione di atto sostitutivo non dobbiamo farci trarre in inganno, infatti, quello che si sostiene anzitutto è che l'avviso di accertamento successivamente notificato rappresenta espressione del potere di autotutela e non di integrazione o modifica in aumento, ex art.43 comma 3 DPR 600/1973 dell'Amministrazione finanziaria, implicante l'eliminazione di un precedente atto, illegittimo, e la sua contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento.


Pertanto, l’atto in rettifica non annulla il precedente ne modifica o integra alcuna parte, andando così a modificarne gli effetti. L’atto in rettifica è copia esatta, riproduzione fedele di quello che fu, pertanto non smette di essere efficace o viene disconosciuto dall'Ufficio, al contrario esso ha solo rettificato, dunque revocato una parte di esso. In tal caso, la diminuzione della pretesa tributaria equivale all'errore materiale, non invalidante, in cui l'Ufficio pare essere incappato.

Potremmo concludere che l’atto rettificato in realtà si sostanzia nello stesso atto originario, non se ne sostituisce nuovo all'originario, ne viene solo parzialmente revocata una parte. Parte che rimane elemento dell'avviso precedente.
 
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