Nell’ultimo decennio si è generato un caos nel silenzio
delle norme relative alla regolamentazione della Tari per gli operatori
economici e i rifiuti speciali assimilati agli urbani, battaglie giurisprudenziali
continue tra imprese e enti locali sull’entità del conto Tari hanno riempito la
scena giuridica. Fattore scatenante è l’esigenza di gestire i rifiuti
speciali assimilati agli urbani, ovvero oltre ai rifiuti speciali, gestiti
autonomamente dalle aziende pagando il servizio agli operatori, esiste la categoria
dei rifiuti speciali non pericolosi, i quali possono essere assimilati agli urbani
dai comuni per mezzo dei regolamenti.
La produzione di rifiuti speciali non assimilabili, ovvero
di rifiuti tossici, nocivi o pericolosi dà diritto alla detassazione delle
superfici ove vengono prodotti, la normativa prevede l’obbligo di comunicazione del contribuente, giacché
la sola produzione di rifiuti pericolosi non è di per sé sufficiente per
ottenere la detassazione, richiedendo la norma anche la prova dell’avvenuta trattamento
dei rifiuti, con oneri a carico del produttore. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, il produttore che dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati potrà comunque godere di una riduzione che il comune deve disciplinare con il proprio regolamento per la quota
variabile del tributo in proporzione alle quantità di rifiuti speciali
assimilati avviati al riciclo.
Le sostanze assimilabili sono quelle elencate al punto 1.1.1
della Delibera del Comitato Interministeriale 27 luglio 1984, che tuttora
disciplina la materia delle assimilazioni. Si precisa che l’assimilazione può
operare solo attraverso una delibera comunale, così come espressamente previsto
dall’art. 198 del dlgs 152/2006, che al comma 2, lett. g) attribuisce alla
competenza comunale “l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti
speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’art.
195, comma 2, lett. e), ferme restando le definizioni di cui all’articolo 184,
comma 2, lettere c) e d)”.
Con proprio Regolamento i Comuni possono stabilire per qualità quali rifiuti assimilare agli urbani, nonchè la quantità per la quale diventino speciali non assimilabili.
Il codice ambiente, riscritto nel 2006, aveva demandato la
materia a un decreto attuativo, mai prevenuto, fino all’intervento del TAR
Lazio che diffida il ministero all’emanazione. Così dopo l’innumerevole
giurisprudenza formatasi, arriva il decreto che norma la Tari negli spazi delle
industrie di produzione, dunque relativamente ai rifiuti speciali assimilati
agli urbani.
Difatti, gli spazi interni delle industrie spesso sono
distinti in aree in cui si producono rifiuti speciali non assimilabili per i
quali come detto i produttori gestiscono la raccolta a loro spese, e aree in
cui vengono prodotti rifiuti speciali non pericolosi che l’Ente locale può
assimilare agli urbani e per i quali si garantisce il servizio di raccolta e
smistamento, pertanto dovrebbe essere versato il giusto corrispettivo.
Il decreto in attuazione però cerca di sancire al dettaglio
tale fattispecie, esprimendo la massima per la quale per i rifiuti che si
creano nelle aree di produzione e nei magazzini delle aziende, oppure nelle attività
commerciali medio grandi non è prevista assimilazione, e dunque alcuna tariffa.
Se da un lato tale rigidità porta equilibrio nel caos
descritto, dall’altro è necessario riflettere sulla principale conseguenza che tale
decisione apporta. La Tari, deve coprire integralmente i costi del servizio e se
l'ambito di applicazione più ristretto non si accompagna a una rimodulazione
dei costi da finanziare, quel che non viene pagato da un contribuente si
scarica su tutti gli altri. Dunque, l’effetto principale lo si avrà nella
ricaduta sugli altri utenti, coloro i quali dovranno ripartirsi il restante
costo di gestione che non assolto produrrebbe un “buco” su quanto previsto dal
piano economico finanziario approvato.