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28 settembre 2017

DECRETO AMBIENTE E LO STOP ALLA TARI SUI MAGAZZINI E LE AREE DI PRODUZIONI

Nell’ultimo decennio si è generato un caos nel silenzio delle norme relative alla regolamentazione della Tari per gli operatori economici e i rifiuti speciali assimilati agli urbani, battaglie giurisprudenziali continue tra imprese e enti locali sull’entità del conto Tari hanno riempito la scena giuridica. Fattore scatenante è l’esigenza di gestire i rifiuti speciali assimilati agli urbani, ovvero oltre ai rifiuti speciali, gestiti autonomamente dalle aziende pagando il servizio agli operatori, esiste la categoria dei rifiuti speciali non pericolosi, i quali possono essere assimilati agli urbani dai comuni per mezzo dei regolamenti.

La produzione di rifiuti speciali non assimilabili, ovvero di rifiuti tossici, nocivi o pericolosi dà diritto alla detassazione delle superfici ove vengono prodotti, la normativa prevede l’obbligo di comunicazione del contribuente, giacché la sola produzione di rifiuti pericolosi non è di per sé sufficiente per ottenere la detassazione, richiedendo la norma anche la prova dell’avvenuta trattamento dei rifiuti, con oneri a carico del produttore. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, il produttore che dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati potrà comunque godere di una riduzione che il comune deve disciplinare con il proprio regolamento per la quota variabile del tributo in proporzione alle quantità di rifiuti speciali assimilati avviati al riciclo.

Le sostanze assimilabili sono quelle elencate al punto 1.1.1 della Delibera del Comitato Interministeriale 27 luglio 1984, che tuttora disciplina la materia delle assimilazioni. Si precisa che l’assimilazione può operare solo attraverso una delibera comunale, così come espressamente previsto dall’art. 198 del dlgs 152/2006, che al comma 2, lett. g) attribuisce alla competenza comunale “l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’art. 195, comma 2, lett. e), ferme restando le definizioni di cui all’articolo 184, comma 2, lettere c) e d)”.
Con proprio Regolamento i Comuni possono stabilire per qualità quali rifiuti assimilare agli urbani, nonchè la quantità per la quale diventino speciali non assimilabili.

Il codice ambiente, riscritto nel 2006, aveva demandato la materia a un decreto attuativo, mai prevenuto, fino all’intervento del TAR Lazio che diffida il ministero all’emanazione. Così dopo l’innumerevole giurisprudenza formatasi, arriva il decreto che norma la Tari negli spazi delle industrie di produzione, dunque relativamente ai rifiuti speciali assimilati agli urbani.
Difatti, gli spazi interni delle industrie spesso sono distinti in aree in cui si producono rifiuti speciali non assimilabili per i quali come detto i produttori gestiscono la raccolta a loro spese, e aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non pericolosi che l’Ente locale può assimilare agli urbani e per i quali si garantisce il servizio di raccolta e smistamento, pertanto dovrebbe essere versato il giusto corrispettivo.

Il decreto in attuazione però cerca di sancire al dettaglio tale fattispecie, esprimendo la massima per la quale per i rifiuti che si creano nelle aree di produzione e nei magazzini delle aziende, oppure nelle attività commerciali medio grandi non è prevista assimilazione, e dunque alcuna tariffa.
Se da un lato tale rigidità porta equilibrio nel caos descritto, dall’altro è necessario riflettere sulla principale conseguenza che tale decisione apporta. La Tari, deve coprire integralmente i costi del servizio e se l'ambito di applicazione più ristretto non si accompagna a una rimodulazione dei costi da finanziare, quel che non viene pagato da un contribuente si scarica su tutti gli altri. Dunque, l’effetto principale lo si avrà nella ricaduta sugli altri utenti, coloro i quali dovranno ripartirsi il restante costo di gestione che non assolto produrrebbe un “buco” su quanto previsto dal piano economico finanziario approvato.

22 settembre 2017

SOLO UN ANNO PER LA RISCOSSIONE DEI TRIBUTI

Con il decreto 507/1993 viene regolarizzata la riscossione delle entrate locali. Nello stesso, all’articolo 72, comma 1, si legge, “L'importo del tributo ed addizionali, degli accessori e delle sanzioni, liquidato sulla base dei ruoli dell'anno precedente, delle denunce presentate e degli accertamenti notificati nei termini di cui all'art. 71, comma 1, è iscritto a cura del funzionario responsabile di cui all'articolo 74 in ruoli principali ovvero, con scadenze successive, nei ruoli suppletivi, da formare e consegnare al concessionario della riscossione, a pena di decadenza, entro l'anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo e, in caso di liquidazione in base a denuncia tardiva o ad accertamento, entro l'anno successivo a quello nel corso del quale è prodotta la predetta denuncia ovvero l'avviso di accertamento è notificato…”

Si evince che dalla norma esposta il termine di decadenza del tributo per la sua riscossione corrisponde all’anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo.

Nel 2007, precisamente dal 1 gennaio, in attuazione della Finanziaria, Legge n. 296/2006, al comma 163 si stabilì che il titolo esecutivo deve essere notificato a pena di decadenza entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo.

Apparentemente tale riforma potrebbe trarre in inganno, una profonda analisi invero, chiarisce come tale norma va a disciplinare esclusivamente la riscossione diretta dell’Ente Locale. Ovvero, nulla modifica in relazione alla riscossione a mezzo ruolo, gestita dunque dal concessionario.

Tale fattispecie ha sicuramente destabilizzato gli operatori che spesso non hanno fatto tesoro di tale scrupolosa analisi ed è stata così prodotta numerosa giurisprudenza nel merito. Fino a paventare una fantomatica abrogazione automatica della norma precedentemente in uso (art. 72 Dlgs 507/1993) in virtù della nuova normativa. Nulla più errato di questo. Difatti, alcuna abrogazione è seguita all'emanazione della Finanziaria 2007, che nel disegno originale e fattuale del Legislatore mirava alla sola regolamentazione della riscossione diretta, come già asserito. Quella riscossione che prevede la gestione assoluta dei rapporti con i contribuenti debitori nelle mani degli Enti locali.


Tutto questo tumulto di orientamenti giurisprudenziali viene messo a tacere dalla recentissima pronuncia della Suprema Corte del 26 giugno 2017, la stessa Corte ribadisce confermando il principio in base al quale la formazione e la notifica del ruolo debbano aver luogo entro l’anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo o l’avviso di accertamento è stato notificato, come precedentemente sancito dalla sentenza 1503 del 27/01/2016 “laddove il Comune decida di avvalersi del sistema di riscossione tramite ruolo deve applicare il termine annuale di decadenza espressamente previsto per tale modalità di riscossione dall’art. 72 Dlgs 507 del 1993, non potendo invocare il diverso e più lungo termine di decadenza triennale, previsto dall’art. 1, comma 163 e 171 L. 296/2006 soltanto per la riscossione coattiva dei tributi locali a mezzo di titolo esecutivo.

21 settembre 2017

ADDIO ALLE POSTE? IL 27 NOVEMBRE (FORSE)

Come precedentemente affrontato nell’articolo
L'EPILOGO DEL MONOPOLIO DI POSTE ITALIANE, dal 10 settembre è ufficialmente decaduto il monopolio di Poste Italiane sulle notifiche delle multe stradali e degli atti giudiziari. Ciò però è ancora lontano dal divenire effettivo, difatti, la data di tale efficacia è ancora ignota, in quanto non sono ancora stati fissati i requisiti che gli operatori privati dovranno avere per poter svolgere il servizio.

L’articolo 1, comma 57 e 58, della legge sulla concorrenza 124/2017, attualmente in vigore, è il responsabile di tale manovra, portando però un doppio binario nella fattualità della normativa. Il comma 57, sopprime l’attribuzione in esclusiva al fornitore del servizio universale postale delle notificazioni di atti giudiziari. Il comma 58 stabilisce che entro 90 giorni saranno determinati dall’Agcom i requisiti di affidabilità, professionalità e onorabilità che gli operatori dovranno garantire.

Ora sorge automaticamente la riflessione per la quale in assenza di questi requisiti, non si potrà attuare la liberalizzazione introdotta dalla legge.

Il termine dei 90 giorni come previsto dalla legge non è perentorio, inoltre nella fissazione dei requisiti deve intervenire anche il ministero della Giustizia questo pertanto rende ardua la scelta di un nuovo operatore proprio in virtù della non efficacia della norma stessa perché non perfezionata.

I requisiti potrebbero essere fissati anche verso la fine dell’anno portando così le amministrazioni ad un nuovo affidamento a Poste del servizio per mancanza di alternativa disponibile. I nuovi operatori non possono considerarsi legittimi infatti fintantoché non vengano definiti e deliberati i requisiti così da poter essere pienamente rispondenti.

Questo potrebbe però innescare a sua volta una implosione del sistema interno. I destinatari dei plichi ancora consegnati da Poste, potrebbero eccepire come vizio di forma tale adempimento in quanto il comportamento di fatto farebbe permanere il monopolio della Società rendendo impossibile il libero mercato per mancanza dei caratteri fondamentali. Sarebbe allora la volta di spostare tute le notifiche agli ufficiali giudiziari, ai messi comunali o agli agenti della polizia, ma anche questa fattispecie porterebbe la necessità di emanare una serie di norme atte alla regolamentazione dettagliata del potere di tali figure.

Come abbiamo potuto esaminare pertanto, la condizione di precaria legittimità procura in questo clima di totale trasformazione e riforma della Pubblica Amministrazione non pochi disagi agli operatori che rischiano di precipitare sempre più in un limbo di incertezze rischiando di innescare maggiore contenzioso.
Ci auspichiamo che il termine di 90 giorni per la fissazione dei requisiti, il 27 novembre, sia osservato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), altrimenti, si cambia tutto per non cambiare nulla.

15 settembre 2017

LA SOTTOSCRIZIONE A STAMPA SOSTITUISCE QUELLA AUTOGRAFA: QUANDO?

Le Pubbliche Amministrazioni nell’espletamento delle loro funzioni concorrono principalmente alla redazione di atti amministrativi. Tali atti sono il risultato di un complesso e spesso rigido iter procedurale, il quale se non osservato nel dettaglio potrebbe far incorrere lo stesso atto in vizi non sempre sanabili e a volte tali da renderlo nullo.

Tra gli aspetti procedurali che se non rispettati possono determinare la nullità dell’atto amministrativo tributario troviamo quello della sottoscrizione. Occorre specificare che, la sottoscrizione rappresenta un presupposto formale che il provvedimento tributario deve contenere e da cui conseguono rilevanti effetti sostanziali. Pertanto la sottoscrizione deve essere obbligatoriamente apposta dal funzionario responsabile del procedimento.

Nel diritto tributario stesso, assumono particolare rilevanza le conseguenze derivanti dalla mancanza o dal difetto di sottoscrizione degli avvisi di accertamento, in quanto apportano l’assoluta nullità dell’atto. Per quanto esposto, tale adempimento riveste carattere di estrema rilevanza.
Per effetto delle modifiche introdotte dall’articolo 15, comma 7 del Dl 78/2009, può essere sostituita la firma autografa del responsabile nominato, apponendo la firma a stampa nei casi in cui gli atti siano prodotti da sistemi informativi automatizzati. Abbiamo già condotto un’attenta analisi sui principi per i quali si è progressivamente intervenuti su tale aspetto e rivoluzionato la disciplina, nell'articolo "sostituibilità della firma autografa: norme e condizioni".

Ora ci preme unicamente ribadire che gli atti per i quali è possibile procedere con la firma a stampa sono stati definiti con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 2 novembre 2010, prot. 2010/4114. Si precisa dunque che in base a tale disposizione normativa non tutti gli atti tributari che incidono sulla sfera giuridica del contribuente saranno accompagnati dalla sottoscrizione autografa, potendo l’ufficio sostituirla dall’indicazione a stampa del soggetto responsabile nelle circostanze previste dal provvedimento. Tale facoltà impone però una riflessione conseguente, gli atti individuati dal provvedimento, hanno in qualche modo tutti la stessa fondamentale caratteristica, sono atti prodotti da sistemi informativi automatizzati e derivano dunque da attività a carattere seriale effettuate con modalità di lavoro accentrata.

Ciò pertanto comporta attività istruttorie, per le quali sono previste ragioni di economia di scala ed esigenze di maggiore efficacia ed efficienza nell’utilizzo delle risorse.
L’utilizzo degli strumenti elettronici non è limitata alle fasi dell’iniziativa e dell’istruttoria del procedimento ma consiste nell’elaborazione e nella definizione del contenuto finale dell’atto amministrativo tributario, ciò differenzia altresì dall’elaborazione di quegli atti che necessitano di un processo valutativo da parte dell’Ufficio. E’ dunque chiarificatore la specifica menzione degli “accertamenti parziali” nel contesto dell’articolo 15, comma 7, Del Dl 78/2009, in quanto vengono ricondotti nelle modalità accertative descritte, per le quali gli elementi raccolti non necessitano di approfondimenti da parte del responsabile del provvedimento.

Concludendo, appare evidente come la sostituzione della firma autografa con quella a stampa è legittima solo ed unicamente quando siamo in presenza di atti che mirano all’unicità, alla formazione quindi in serie e emessi grazie ad strumenti elettronici che ne formano così una generazione massiva.

8 settembre 2017

DELIBERE TARDIVE EFFICACIA TEMPORALE

Ai sensi dell’articolo 1, comma 169, della Finanziaria 2007, le delibere comunali devono rispettare il termine per la propria approvazione così come fissato dalla normativa.

Tale disposizione prevede che “Gli enti locali deliberano le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. Dette deliberazioni, anche se approvate successivamente all’inizio dell’esercizio purché entro il termine innanzi indicato, hanno effetto dal 1 gennaio dell’anno di riferimento. In caso di mancata approvazione entro suddetto termine, le tariffe e le aliquote si intendono prorogate di anno in anno.”

Dunque sembrerebbe che debbano considerarsi nulle le delibere approvate successivamente a tale termine. A definire tale aspetto normativo è intervenuto il Consiglio di Stato con sentenza 4104/2017 con la quale stabilisce che le delibere cosiddette tardive, cioè approvate dagli enti locali oltre il termine previsto per il bilancio di previsione, non sono da ritenersi invalide, quindi da annullare, ma solo inefficaci per l’anno di riferimento.

L’analisi dell’articolo su menzionato ci porta a considerare altresì che la violazione del termine non determina di per se ed automaticamente l’illegittimità dei regolamenti e degli atti comunali, ma incide solo sul regime di efficacia temporale.

Il rispetto del termine invero, è condizione per l’applicazione delle nuove tariffe o per le nuove aliquote retroattivamente, a partire cioè dal 1 gennaio dell'esercizio di riferimento.
A ciò consegue che le tariffe approvate successivamente al termine stabilito non sono invalide, ma l’unica condizione che risulta preclusa è l’applicazione all'esercizio in corso, dunque la retroattività.

Pertanto come se si verificasse una sospensione di quanto deliberato, gli atti vengono sospesi per l'anno di riferimento, per poi acquisire di efficacia l'anno successivo.

4 settembre 2017

L'EPILOGO DEL MONOPOLIO DI POSTE ITALIANE

La comunicazione è uno dei pilastri della socialità, il grado di sviluppo della comunità umana è direttamente proporzionale alla quantità, all'intensità e alla qualità dei flussi di comunicazione tra i componenti del gruppo sociale. Da ciò deriva che il principale strumento di comunicazione è stato rappresentato nella storia dalla lettera. Grazie a lei si è fondata la coesione sociale e lo sviluppo economico delle organizzazioni sociali. Il progresso tecnologico ha consentito successivamente di affiancare alla spedizione della lettera su supporto cartaceo mezzi di comunicazione più evoluti. Al fine di assicurare ai cittadini la possibilità di comunicare, l'erogazione dei servizi postali è stata realizzata direttamente dagli stati nazionali o da società pubbliche concessionarie in regime di monopolio. In Italia, al Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni nel 1994 nello svolgimento del servizio è subentrata Poste Italiane, prima ente pubblico non economico e successivamente società per azioni.

Il processo di armonizzazione e liberalizzazione del mercato postale, già avviato con la direttiva n. 97/67/CE, successivamente emendata nel 2002 , è stato completato dalla direttiva n. 2008/6/CE. Quest'ultimo intervento, oltre a prorogare al 2011 il completamento del processo di liberalizzazione dei servizi postali, ha imposto agli Stati membri di abolire qualunque forma di monopolio, di riserva e di diritti speciali nel settore postale e di adottare tutte le misure necessarie alla completa apertura del mercato. Pertanto attraverso una graduale riduzione del monopolio riservata alla società concessionaria Poste Italiane, con il decreto legislativo n. 58 del 2011 si è assistito alla piena liberalizzazione. Restavano però affidati in esclusiva a Poste Italiane, per esigenze di ordine pubblico, le notificazioni a mezzo posta degli atti giudiziari e degli atti relativi alle violazioni del Codice della Strada.
Nella direttiva n. 2008/6/CE sembra concedersi spazi agli Stati membri nella scelta del regime al quale assoggettare le attività nel settore postale. Quando viene precisato che "agli Stati membri dovrebbe essere consentito di utilizzare l'autorizzazione generale e le licenze individuali ogniqualvolta ciò sia giustificato e proporzionato all'obiettivo perseguito". Dunque, gli obiettivi da perseguire sono poi indicati all'art. 9 della direttiva postale:

Per i servizi che esulano dal servizio universale, si afferma che gli Stati membri possono prevedere autorizzazioni generali nella misura necessaria per garantire la conformità alle esigenze essenziali, da intendersi come i motivi di interesse generale e di natura non economica che consentono ad uno Stato membro di imporre condizioni in materia di fornitura di servizi postali (articolo 9, paragrafo 1);

Per i servizi che rientrano nell'ambito di applicazione del servizio universale, gli Stati membri possono introdurre procedure di autorizzazione, comprese quelle per il rilascio di licenze individuali, nella misura necessaria per garantire la conformità alle esigenze essenziali e per garantire la fornitura del servizio universale (art. 9, paragrafo 2, primo capoverso).

Dunque, per le autorizzazioni generali l'obiettivo da perseguire è quello di garantire le esigenze essenziali, per le licenze individuali a questo obiettivo si aggiunge la necessità di garantire la fornitura dei servizi ricompresi nell'ambito del servizio universale
Tale direttiva è stata trasposta nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, recante "Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio"

Nel sistema delineato dal Legislatore nazionale l'autorizzazione è la categoria generale che ricomprende ogni titolo abilitativo che stabilisce i diritti e gli obblighi specifici nel settore postale e che consente alle imprese di fornire servizi postali e, se del caso, creare ovvero gestire le proprie reti per la fornitura di tali servizi; nell'ambito di tale categoria sono previste due tipologie di titoli abilitativi: la licenza individuale e l'autorizzazione generale.

Come stabilito dal Ddl Concorrenza del 2017 da settembre, cambiano le cose e tutte le notifiche degli atti giudiziari e delle multe potranno essere consegnate anche da operatori privati e non più solo da Poste Italiane. Questa scelta, effetto della liberalizzazione del settore, elimina di fatto l’esclusiva sulle notificazioni di Poste.

Nel dettaglio il provvedimento, articolo 1, comma 57 e 58, elimina dal 10 settembre 2017, il monopolio di Poste Italiane Spa, dunque la norma si pone nell'ottica di un progressivo restringimento della riserva dei servizi postali al fornitore universale, prevedendo la piena equiparazione di tutti i fornitori dei servizi postali.  Il provvedimento, contenuto nella nuova legge annuale per la concorrenza, prevede infatti “il rilascio della licenza individuale” per i servizi riguardanti le notificazioni e comunicazioni di atti giudiziari (ex l. n. 890/1982) nonché quelle riguardanti le violazioni del codice della strada. Il testo di legge prevede che, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento, l’Agcom, sentito il ministero della Giustizia, debba determinare gli specifici requisiti e gli obblighi per il rilascio delle licenze individuali relative ai servizi di notifica degli atti giudiziari e delle multe. Contestualmente, dovranno essere fissati i requisiti relativi “all’affidabilità, professionalità e onorabilità” necessari per il rilascio delle licenze stesse.

Dunque, torniamo a parlare della "licenza individuale", per l'offerta al pubblico di servizi postali non riservati che rientrano nel campo di applicazione del servizio universale e sottolineiamo nuovamente che tale condizione si discosta dall''"autorizzazione generale", relativa altresì all'offerta di servizi non rientranti nell'ambito del servizio universale. 

A partire dal 10 settembre, dunque, multe e notifiche degli atti giudiziari non saranno consegnati solo dai postini, ma anche da altri operatori, e le notifiche saranno valide a tutti gli effetti. Ne consegue che verranno meno anche tutte le sentenze che avevano sancito sinora la nullità delle consegne effettuate da servizi privati e vengono eliminati i dubbi interpretativi sorti essendosi diffusa l’opinione che anche la nuova versione dell’articolo 4 del Dlgs 261/99, in vigore dal 30 aprile 2011, non consenta alle agenzie private di effettuare la raccomandata degli avvisi di accertamento e in genere di atti tributari, poiché riservate a Poste Italiane. Sul punto la giurisprudenza è apparsa piuttosto oscillante: da una parte si è sostenuto che le poste private sono autorizzate alla notifica di atti amministrativi, compresi gli accertamenti Ici (Ctr Campania n. 4417/2015); dall’altra parte è stata invece ritenuta inesistente la notifica degli avvisi di accertamento effettuata con corriere privato (Ctr Foggia n. 2463/2016).

Dunque con l’apertura al mercato del servizio di notifica a mezzo posta degli atti giudiziari e delle violazioni del codice della strada viene anche legittimata la notifica degli avvisi di accertamento a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, apportando considerevoli risparmi agli enti locali.
 
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