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30 giugno 2017

L'IFEL SUPPORTA GLI ENTI LOCALI: DELIBERA E REGOLAMENTI DA ADOTTARE


Come precedente abbiamo analizzato, l'articolo 11 del Dl 50/2017 al comma 1-bis riporta disposizioni relative alla definizione agevolata delle controversie tributarie degli enti territoriali, allargando così la possibilità di definire anche tali liti. 

Riportiamo letteralmente il comma, "1-bis. Ciascun ente territoriale può stabilire, entro il 31 agosto 2017, con le forme previste dalla legislazione vigente per l'adozione dei propri atti, l'applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte il medesimo ente".
Si completa con quest'ultimo passo la strada intrapresa dal Legislatore che tende ad una definizione più rapida delle controversie per cercare di redimere le liti che invadono le Commissioni tributarie. 

La definizione agevolata delle liti fiscali pendenti inizia con l’effetto definitorio delle controversie interessate dalla definizione agevolata delle cartelle, di cui all’art. 6 del Dl n. 193 del 2016. Parallelamente, la "definizione agevolata" completa l’eventuale "definizione agevolata" delle ingiunzioni di pagamento, deliberate dai Comuni ai sensi dell’art. 6-ter del Dl n. 193 del 2016.
La scelta del Comune di avvalersi di quanto sopra, come già espresso dovrà avvenire mediante adozione di una delibera di Consiglio Comunale, ai sensi dell’art. 52 del D.lgs. n. 446 del 1997, sempre se con essa il Comune rinunci alla riscossione delle sanzioni e degli interessi di mora, per i quali, in via generale, vale il principio dell’indisponibilità, qui derogato per espressa previsione di legge.

Data la complessità della materia, l'IFEL ha predisposto un modello di delibera e di regolamento che si ritiene utile confrontare. L'adozione contestualmente alla delibera di un regolamento specifico da parte del Comune è sembrato opportuno allo stesso IFEL proprio per la complicata e ostica disciplina da affrontare, considerando anche il limitato intervallo temporale utile agli enti locali per i necessari adempimenti.  

In conclusione la definizione agevolata adottabile alle liti fiscali pendenti appare una manovra consigliabile agli enti locali ma non priva di minuziosi accorgimenti da adottare e analizzare minuziosamente. 

29 giugno 2017

VIA SANZIONI E INTERESSI CON LA DEFINIZIONE AGEVOLATA DELLE LITI TRIBUTARIE PER GLI ENTI LOCALI

Venerdì 23 Giugno 2017 è stato pubblicato in gazzetta il decreto Legge 50/2017 che consente la definizione agevolata delle controversie attinenti ai tributi locali.
Il testo originario del decreto legge 50/17 prevedeva che la definizione agevolata potesse essere applicata esclusivamente per le controversie nelle quali fosse parte l’Agenzia delle entrate, escludendo dunque fin dal principio le controversie tributarie nelle quali fossero parte gli enti locali. Le modifiche apportate in sede di conversione in legge hanno inserito all’art. 11 il comma 1 bis che prevede la definizione agevolata anche per le controversie nelle quali siano parte gli enti locali.
Detto comma disciplina una facoltà dunque per l’ente locale, ovvero quella di disporre la definizione agevolata delle controversie tributarie nelle quali l’ente locale stesso sia parte.

A sostenere ciò è il testo dell’articolo che recita “ciascun ente territoriale può stabilire…”, confermando fin da subito la non obbligatorietà a detta disposizione. Pertanto, nel caso in cui l’ente locale non intendesse procedere con tale definizione, non dovrebbe fare nulla, non prevedendo la definizione medesima. Potrebbe essere tuttavia opportuno, anche in caso di mancata applicazione della definizione agevolata, la pubblicazione sul sito internet istituzionale di un comunicato informativo sulla non applicabilità nell’ente locale della definizione agevolata delle controversie dei tributi locali. Nel caso in cui l’ente locale non proceda con la previsione in esame, eventuali istanze di definizione agevolata dovrebbero essere rigettate con la semplice motivazione della mancata disciplina della facoltà prevista dall’art. 11, comma 1-bis, del decreto-legge n. 50/17.

Nel caso in cui di contro l’ente locale intendesse prevedere la definizione agevolata delle controversie tributarie nelle quali l’ente stesso sia parte, come si dovrebbe procedere?

Il comma 1-bis in esame dispone che, in tale caso, l’ente locale debba procedere con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti. La locuzione utilizzata dal legislatore intende chiaramente la necessità di utilizzare l’art. 52 del D.Lgs. n. 446/1997, disciplinando la definizione agevolata tramite un regolamento approvato dall’organo consiliare. Inoltre il comma 1-bis ha previsto un termine preciso entro il quale l’ente locale deve approvare il regolamento, l’organo consiliare deve adottare, ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 446/1997, il regolamento per la definizione agevolata entro il 31 agosto 2017.

Consigliabile diviene, soprattutto se il regolamento venisse approvato nella seconda metà di agosto 2017, che l’organo consiliare dichiari l’immediata eseguibilità, ai sensi dell’art. 134, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000, della deliberazione di approvazione del regolamento. Detto ciò, una volta approvato il regolamento, il termine entro il quale le controparti degli enti locali possono presentare istanza per la definizione agevolata non può essere inferiore a 60 giorni, ai sensi dell’art. 3, comma 2, dello statuto del contribuente (legge n. 212/2000).

Importante è sapere che il comma 3 dell’art. 11 del DL n. 50/2017 dispone che sono definibili con agevolazione le controversie relative a ricorsi notificati alla controparte entro la data di entrata in vigore del decreto 50. Il DL n. 50/17 è entrato in vigore il 24/04/2017. Il comma 3 in esame dispone altresì che non possano essere definite con agevolazione le controversie per le quali alla data di presentazione della domanda di definizione il processo si sia concluso con pronuncia definitiva.

Una riflessione prima dell’applicazione della definizione agevolata alle controversie inerenti ai tributi locali deve essere portata avanti dall’amministrazione in sinergia con ufficio tributi e ragioneria. Ricordiamo infatti che è essenziale valutare le conseguenze che le definizioni potrebbero avere sui residui attivi mantenuti nel rendiconto e sul calcolo del fondo crediti di dubbia esigibilità. 

27 giugno 2017

1 LUGLIO 2017 LA NOTIFICAZIONE A MEZZO PEC DIVENTA REALTA'

Torniamo sulla notifica a mezzo pec, che a decorrere dal 1 Lugio 2017, con l’articolo 60, DPR 600/1973 modificato dall’articolo 7-quater, comma 6 del Dl 193/2016 consentirà l’effettivo passaggio della notificazione degli atti impositivi tributari direttamente a mezzo di posta elettronica certificata.

Già il combinato disposto di cui all’articolo 48, comma 2 del Dlgs 82/2005 e articolo 149 bis del Cpc, legittimava gli enti locali alla notifica a mezzo posta elettronica certificata, è stato necessario però l’intervento del legislatore che con il DL 193/2016 ha dato il via libera alla notifica a mezzo pec degli atti e degli accertamenti relativi ai tributi locali nei confronti di imprese e professionisti, così come già previsto per la notifica delle cartelle Equitalia.

A differenze della procedura adottata per le cartelle esattoriali, la nuova modalità di notifica rappresenterà una facoltà per l’Ente locale. Si riconosce dunque alla Pec il valore di notifica, sempre se eseguita nel rispetto della procedura delineata nel medesimo testo verso soggetti risultanti dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata INI-PEC, www.inipec.gov.it.
Anche i contribuenti, persone fisiche, associazioni, condomini e enti non commerciali, non obbligati a dotarsi di indirizzo pec censito presso l’INI-PEC posso fare richiesta di notifica telematica, comunicandolo però all’Agenzia delle Entrate con il modello approvato con provvedimento n. 44027 del 3 Marzo 2017 e relative istruzioni. Con la compilazione di tale istanza il contribuente manifesta la propria volontà di ricevere gli atti all’indirizzo di cui è intestatario o a quello di un intermediario delegato. I contribuenti non obbligati ad avere indirizzo PEC, possono chiedere che la notifica sia eseguita all’indirizzo di posta elettronica di cui sono intestatari, all’indirizzo di posta elettronica certificata dei difensori abilitati all’assistenza tecnica per il contenzioso tributario (ad esempio, avvocato o commercialista), del coniuge, o di un parente/affine entro il quarto grado. L’indirizzo indicato nella richiesta ha effetto, ai fini delle notificazioni, dal quinto giorno libero successivo a quello in cui l’ufficio attesta la ricezione della richiesta stessa.

Se per queste categorie di contribuenti l’iscrizione a tale elenco è rappresentata da un a facoltà, con l’articolo 16, commi 6 e 7, DL 185/2008, tutte le imprese costituite in forma societaria e i professionisti iscritti in Albi o elenchi istituiti con legge dallo Stato sono tenuti a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata.

Dunque la notifica degli atti impositivi, nello specifico, può essere effettuata a mezzo pec, allegando sempre un documento informatico (l’atto) formato ai sensi dell’articolo 23 bis, comma 2 del Cad, ovvero copia informatica di documento originario informatico, dotato di una dichiarazione di conformità all’originale detenuto nei sistemi informativi dell’ente locale ed effettuata da un soggetto autorizzato, che appone a tal fine la propria firma digitale o qualificata. Il superamento dell’articolo 149 bis C.p.c fa sì che la notificazione degli atti possa essere eseguita direttamente dall’ufficio, senza l’intermediazione di un soggetto terzo, tenuto però come già sopra ricordato all’apposizione della firma digitale sulla relata di notifica. Inoltre, la PEC certifica soltanto il testo contenuto nel messaggio, ma non il testo riportato nel documento informatico trasmesso, difatti, mentre il messaggio PEC è certamente “autentico” in quanto “certificato”, il pdf allegato privo di firma e contenente l’avviso di accertamento, non è che una copia meccanica e non un “documento informatico”. Si ricorda inoltre che l’invio a mezzo posta certificata attribuisce al messaggio lo stesso valore legale della raccomandata con avviso di ricevimento e, se effettuata in conformità al D.P.R. n. 68/2005 consente di opporre ai terzi la data e l’orario di trasmissione e ricezione del documento.

In questa direzione, si sono espresse alcune decisioni di merito: tra le più meritevoli di nota ritroviamo quella per cui si afferma che è nulla la cartella notificata via PEC con l’allegato in estensione .pdf e non .p7m, che rappresenta l’equivalente del primo ma firmato digitalmente (CTP Milano, sentenza 3 febbraio 2017, n. 1023/1/17) giacchè il .pdf non soddisfa da solo i requisiti di integrità dell’allegato. Pertanto fondamentale importanza rivestirà l’estensione del file.
Va da sé che l’ente locale che vorrà avvalersi della pec dovrà necessariamente avvalersi dei propri messi notificatori, tenuti a certificare l’eseguita notifica mediante la redazione della relata ai sensi dell’articolo 148, comma 1 del Cpc. La redazione deve contenere tutte le indicazioni di cui all’articolo 148, comma 2 del Cpc, ovvero la persona cui la notifica è destinata e le sue qualità.

In particolare, ai fini della decorrenza dei termini legali di prescrizione e decadenza dell’atto, la notifica si intende perfezionata per l’ufficio, nel momento in cui il gestore della casella certificata trasmette la ricevuta di accettazione con relativa indicazione dei riferimenti temporali che certificano l’avvenuto invio del messaggio. Per il contribuente destinatario, invece, la notifica si intende perfezionata alla data di avvenuta consegna contenuta nella ricevuta che il gestore della casella utilizzata dal destinatario trasmette all’ufficio.

Nel provvedimento è specificato anche che laddove la casella PEC risulti satura al momento della notifica del singolo atto, l’ufficio procederà a un secondo tentativo di consegna decorsi almeno 7 giorni dal primo invio. Successivamente, qualora la casella dovesse risultare ancora satura, la notificazione dovrà eseguirsi mediante deposito telematico dell’atto nell’area riservata del sito internet di Infocamere con pubblicazione, entro il secondo giorno successivo a quello di deposito, del relativo avviso nel sito medesimo e per la durata di 15 giorni.
La casella verrà comunque considerata ancora valida per la notifica di eventuali altri atti successivi.

Nel caso di ripetuto insuccesso si applicheranno le disposizioni ordinarie in materia di notificazione degli atti, che si applicheranno anche qualora la casella risulti non valida o non attiva al primo tentativo di invio. Al ricorrere di una delle predette circostanze, l’ufficio è inoltre tenuto a darne notizia al destinatario a mezzo lettera raccomandata, senza adempimenti ulteriori.

23 giugno 2017

LA TASSA RIFIUTI E I RIFIUTI SPECIALI

Il tema dell’assoggettamento alla tassa rifiuti dei locali in cui questi vengono prodotti è in continua evoluzione, ultimo aggiornamento è stato emesso con sentenza n. 14414/2017 dalla Corte di Cassazione, relativamente ai magazzini nei quali si producono rifiuti da imballaggi terziari.

Prima di entrare nell’analisi della sentenza, fissiamo brevemente i punti cardine della disciplina. In primo luogo, il Dlgs 507/1993 all’articolo 58 istituisce la tassa, “ Per il servizio relativo allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni, svolto in regime di privativa nell'ambito del centro abitato, delle frazioni, dei nuclei abitati ed eventualmente esteso alle zone del territorio comunale con insediamenti sparsi, i comuni debbono istituire una tassa annuale, da disciplinare con apposito regolamento ed applicare in base a tariffa con l'osservanza delle prescrizioni e dei criteri di cui alle norme seguenti.”

Dunque, l’ente locale viene investito del potere impositivo sui contribuenti relativamente a tale tributo, nondimeno viene delegato alla redazione di un regolamento atto alla disciplina di tale tassazione. L'applicazione è demandata ai comuni, sulla base del costo totale del servizio di raccolta e successivo smaltimento dei rifiuti usando come parametro la superficie dei locali di abitazione e di attività dove possono avere origine rifiuti di varia natura. Pertanto tale imposta è dovuta all’Ente per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Il presupposto della tassa è l'occupazione di uno o più spazi, adibiti a qualsiasi uso e giacenti sul territorio del comune dove il servizio di smaltimento rifiuti è reso in maniera continuativa. Quindi, il presupposto impositivo non è il servizio prestato dal comune, ma la potenziale attitudine a produrre rifiuti da parte dei soggetti detentori degli spazi. Infatti, fatta eccezione per i comuni con popolazione inferiore a 35.000 abitanti, l'importo da corrispondere per questa tassa non è commisurato ai rifiuti prodotti, ma alla quantità di spazi occupati. Pertanto la tassa sui rifiuti è il tributo destinato a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi.

Soggetti passivi di questa tassa sono i detentori di immobili e di superfici scoperte operative a qualsiasi uso destinate che esistono nel territorio del comune impositore. Chi detiene o occupa a qualsiasi titolo un immobile o una superficie operativa deve presentare una denuncia ai fini dell'applicazione della TARSU, dichiarando la superficie dell'immobile, l'uso a cui è destinata, i dati catastali oltre ai suoi dati personali.

Altro concetto focale è la classificazione dei rifiuti. Partiamo dalla definizione normativa di rifiuti data dall'art. 183 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, Testo unico ambientale, modificata dal decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 "Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive"(GU n. 288 del 10-12-2010 - Suppl. Ordinario n.269): “Qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi”.
Secondo la Circolare del Ministero dell'Ambiente 28.06.1999 "disfarsi" equivale ad avviare un oggetto o sostanza ad operazioni di smaltimento o di recupero. L'Unione europea, con la Direttiva n.2008/98/Ce del 19 novembre 2008, li definisce "qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi".

I rifiuti vengono classificati, in base all'origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali. Sono rifiuti speciali quelli interessati dalla sentenza in commento, la quale affronta il tema degli imballaggi, precisando che gli imballaggi si distinguono in primari (quelli costituiti da un'unità di vendita per l'utente finale o per il consumatore), secondari o multipli (quelli costituiti dal raggruppamento di un certo numero di unità di vendita) e terziari (quelli concepiti in modo da facilitare la manipolazione ed il trasporto di un certo numero di unità di vendita oppure di imballaggi multipli). La normativa dispone il divieto di immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani gli imballaggi terziari di qualsiasi natura.

Nella fattispecie oggetto del ricorso, la società "in quanto produttrice di rifiuti speciali non assimilabili (imballaggi terziari), avrebbe potuto solo beneficiare di una riduzione parametrata all'intera superficie su cui l'attività veniva svolta", tenuto conto che comunque nell'area venivano prodotti anche rifiuti urbani, riduzione da quantificare, poi, sulla base delle specifiche disposizioni contenute nel regolamento comunale. 

Inoltre, secondo la Cassazione è posto a carico del contribuente l'obbligo di presentazione della dichiarazione al fine di ottenere l'esclusione di alcune aree della superficie tassabile, “ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale”.

14 giugno 2017

VALORE VENALE E RETROATTIVITA'

La Suprema Corte con ordinanza 13567 del 2017 ha statuito che la delibera con la quale la Giunta comunale, in tema di imposta comunale sugli immobili, determina i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, non si sottrae al principio di irretroattività e non viola i principi dello statuto dei diritti del contribuente.

Brevemente ricordiamo che il D.l. n° 201/2011 convertito dalla Legge n° 214/2011, c.d. Decreto Salva Italia, articolo 13 – Istituzione dell’Imposta Municipale Propria di tipo Sperimentale, ha richiamato, per la definizione di area edificabile, l’articolo 1, comma 2, del Decreto Legislativo. n° 504/1992. La norma, integrata dal Decreto Legge n° 223/2006 convertito nella Legge n° 248/2006, art. 36, comma 2, stabilisce che “un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”. L’articolo 5, comma 5, sempre del D. Lgs. n° 504/1992 istitutivo dell’ICI ed espressamente richiamato dal Decreto “Salva Italia”, definisce che la base imponibile dell’area fabbricabile, alla quale applicare l’aliquota d’imposta, è costituita dal “valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche”.

Il valore venale è il valore riferito alla somma dei valori dei componenti del bene, il procedimento di individuazione del valore venale rappresenta un processo di stima ed è limitato alla considerazione di elementi di valutazione oggettivi e stabili.
Il fatto controverso che ha scaturito la sentenza sopra menzionata, nasce dall'accertamento effettuato dall’ente impositore della maggiore annualità Ici dovuta sulle aree fabbricabili il cui valore dichiarato era stato rettificato in forza dei parametri contenuti nella delibera della giunta comunale del 2005 con effetto dal 1° gennaio 2000.

Invero, gli enti locali sono chiamati a deliberare visto l’art. 1, comma 169, L. n. 296/06 (Legge finanziaria 2007) le tariffe e le aliquote relative ai tributi di loro competenza entro la data fissata dalle norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione. Dette deliberazioni, anche se approvate successivamente all'inizio dell'esercizio purché entro il termine innanzi indicato, hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno di riferimento. In tale approvazione rientrano altresì le deliberazioni di Giunta comunale con le quali sono stati approvati, rettificati o confermati i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili presenti nel territorio comunale ai fini dell'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili.

Il contribuente, pertanto, impugnava l’atto tributario dinanzi al giudice di merito che lo accoglieva e la detta decisione veniva confermata in sede di appello. La sentenza della commissione tributaria regionale poggiava sul rilievo che le disposizioni tributarie non potevano avere effetto retroattivo, a norma dell'articolo 3, comma 2, Legge 212/2000 sicché la delibera del 2005 non poteva trovare applicazioni se non dall'anno imposta successivo. A tal punto l’ente locale non condividendo tale tesi impugna e propone ricorso per Cassazione. Quest’ultima sconvolgendo le decisioni sancite dalle corti tributarie soddisfa le ragioni della parte.  

L’ente in effetti ha sostenuto dinanzi alla Suprema Corte che la delibera della giunta comunale, con cui era stato rettificato il valore delle aree fabbricabili, era sottratta al principio di irretroattività, sancito dall'articolo 3 della legge 212/2000 posto che, trattandosi di regolamento comunale le norme da esso previste potevano essere utilizzate dal giudice per acquisire elementi di giudizio anche in relazione a periodi anteriori a quelli di emanazione del regolamento stesso senza che ciò comportasse applicazione retroattiva di norme ma solo l'applicazione dell'elemento presuntivo in esse contenuto.
Il giudice di legittimità ha così deciso favorevolmente per l’ente impositore, si è pertanto precisato che “in tema di Ici, è legittimo l'avviso di accertamento emanato sulla base di un regolamento del consiglio comunale, oggi Giunta, che, abbia indicato periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, trattandosi di atto che ha il fine di delimitare il potere di accertamento del comune qualora l'imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni idonea a costituire, anche con portata retroattiva, un indice di valutazione per l'Amministrazione ed il giudice".

13 giugno 2017

E' SCADENZA ANCHE PER I PENSIONATI COLTIVATORI IL 16 GIUGNO, COSI'TUONANO I GIUDICI DI PIAZZA CAVOUR

Com'è noto, la Legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) all’art.1, comma 13 aveva nuovamente modificato la tassazione Imu sui terreni agricoli. Le novità riguardarono l’Imu per i terreni agricoli e per quelli condotti da coltivatori diretti del fondo e Imprenditori Agricoli Professionali.
I terreni condotti da coltivatori diretti del fondo e gli IAP iscritti alla previdenza sociale, risultavano sempre esenti da Imu indipendentemente dall'ubicazione. Inoltre i terreni nei comuni montani, parzialmente montani, collinari o pianeggianti ai fini dell’esenzione si distinguono esclusivamente facendo riferimento alla Circolare 9 del 1993.

Ricordiamo brevemente che il coltivatore diretto (CD) è un piccolo imprenditore che si dedica direttamente e abitualmente alla manuale coltivazione del fondo, con lavoro proprio o della sua famiglia, con una forza lavorativa non inferiore ad 1/3 di quella complessiva richiesta dalla normale conduzione del fondo, come chiarito dall’art. 2083 del codice civile. D’altro canto l’imprenditore agricolo professionale (IAP), iscritto nella previdenza agricola, è il soggetto che dedica alle attività agricole, attività descritte e definite all’art. 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricava dalle attività stesse almeno il 50% del reddito globale da lavoro. Tale imprenditore deve essere essere in possesso di adeguate conoscenze e competenze professionali stabilite dall’art. 5 del regolamento CE n. 1257/1999 del Consiglio, del 7 maggio 1999.

Detto questo, analizzate quindi le condizioni necessarie per rientrare nella categoria indicata, per determinare correttamente l'IMU sui terreni agricoli resta fondamentale distinguere a seconda che i terreni siano posseduti e condotti da coltivatori diretti o IAP, iscritti alla previdenza agricola, o da soggetti diversi. Per i terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti o IAP iscritti alla previdenza agricola dal 2016 indipendentemente dall'ubicazione non è più dovuta l'Imu.

 Per i terreni posseduti da soggetti diversi i terreni agricoli, anche se incolti, scontano l’Imu con l’aliquota ordinaria dello 0,76%, tale valore può essere aumentato o diminuito nelle delibere comunali delle 0.3%, da applicare al reddito dominicale al primo gennaio dell’anno di riferimento rivalutato del 25%, e moltiplicato per il coefficiente “135”. L'Imu dovuta va ragguagliata in base al periodo e alla percentuale di possesso.

Fatta tale premessa vogliamo ora però analizzare quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 13745 del 31 Maggio 2017. Viene sancito il principio in base al quale, i coltivatori diretti o imprenditori agricoli, titolari di pensione, non possono fruire delle agevolazioni Ici, per analogia tale principio viene applicato anche all’Imu. Finalità della norma originaria descritta precedentemente è quella di riconoscere benefici fiscali solo ai soggetti che dalla coltivazione traggono la loro fonte esclusiva di reddito.

Per i giudici della Suprema Corte, il maturare del trattamento pensionistico esclude a priori il protrarsi dell’attività di conduzione, condizione necessaria per il configurarsi dell’agevolazione. Pertanto il soggetto non viene più a considerarsi un coltivatore, da qui l’interruzione del beneficio. Da quel momento il contribuente non ricaverà più il suo reddito dall’effettiva conduzione del fondo bensì dal trattamento pensionistico. Così il 16 giugno saranno anche i pensionati a versare l’acconto, senza poter usufruire dell’agevolazione scontata fino al precedente versamento.

Lo stesso principio è applicabile anche all’Imu, considerato che l’articolo 13 del dl Monti (n. 201/2011) pur non imponendo più come per l’Ici la contribuzione obbligatoria per i coltivatori, ma solo l’iscrizione alla previdenza agricola, non consente comunque di beneficiare delle agevolazioni in quanto è lo status di pensionato a costituire un impedimento, come chiarito dalla Cassazione.

12 giugno 2017

GLI ENTI NON COMMERCIALI E L'ACCONTO IMU/TASI

L'imponibilità degli immobili posseduti e a vario titolo utilizzati dagli enti non commerciali come ONLUS ed enti ecclesiastici, è stata caratterizzata da continui, e spesso contraddittori, mutamenti normativi e giurisprudenziali.

Nel 2012 è stata avviata una revisione normativa atta a disciplinare in maniera definitiva tali fattispecie, a seguito essenzialmente dell’apertura di una procedura di infrazione europea per aiuti di Stato, con l’individuazione della fattispecie di uso “promiscuo” (commerciale-non commerciale) del medesimo immobile e con il successivo percorso attuativo, sembra poter dare maggior stabilità e certezza al regime di imposizione cui sono sottoposti gli immobili in questione.
Gli enti non commerciali si caratterizzano per la struttura organizzativa e per la natura peculiare dell’attività esercitata. Per ente non profit, deve comunemente intendersi un ente che, senza il perseguimento di uno scopo lucrativo, si dedica ad attività socialmente rilevanti nel campo della cultura, dell’assistenza, della ricerca, della sanità e della salvaguardia dell’ambiente.
L’elemento distintivo ai fini della qualifica di enti non profit è essenzialmente quello che riguarda gli interessi economici alla base dell’ente stesso. In sintesi, un ente può definirsi come non profit quando coloro che hanno contribuito alla sua formazione non intendono assicurarsi, attraverso l’operatività economica dell’ente, ritorni economicamente commisurabili quali, ad esempio, profitti in denaro ovvero beni o servizi in natura. Ciò ovviamente non vuol dire che l’ente in sé è costretto ad agire “in perdita”; significa solamente che il risultato netto dell’operatività economica dell’ente deve essere accantonato o impiegato unicamente per il raggiungimento degli scopi istituzionali.
Entro il prossimo 16 giugno gli ENC sono chiamati alla cassa per versare, la prima rata dell’IMU dovuta per l’anno 2017, il saldo (conguaglio) per l’anno d’imposta 2016 e la prima rata della TASI dovuta per l’anno 2017.

Essi, infatti, versano l’IMU in tre rate: le prime due, di importo pari al 50% dell’imposta corrisposta nell’anno precedente, da versarsi entro il 16 giugno ed entro il 16 dicembre e la terza rata, a saldo dell’imposta complessivamente dovuta, che va versata entro il 16 giugno dell'anno successivo. Pertanto ai sensi del comma 721, della Legge 147/2013, meglio conosciuta come Stabilità 2014, il versamento dell'imposta municipale propria di cui all'articolo 13 del decreto legge n. 201 del 2011 e' effettuato dagli enti non commerciali esclusivamente secondo le disposizioni di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, in tre rate di cui le prime due, di importo pari ciascuna al 50 per cento dell'imposta complessivamente corrisposta per l'anno precedente, devono essere versate nei termini di cui all'articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e l'ultima, a conguaglio dell'imposta complessivamente dovuta, deve essere versata entro il 16 giugno dell'anno successivo a quello cui si riferisce il versamento.
Gli enti non commerciali eseguono i versamenti del tributo con eventuale compensazione dei crediti, nei confronti dello stesso comune nei confronti del quale e' scaturito il credito, risultanti dalle dichiarazioni presentate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.
Relativamente alla TASI invece verseranno in acconto entro il 16 giugno e a saldo entro il 16 dicembre dello stesso anno.

Ultima precisazione circa gli ENC è quella riguardante la dichiarazione. Essi presentano la dichiarazione IMU esclusivamente in via telematica, l’art. 5 del dm 26 giugno 2014 individua una scadenza ordinaria, coincidente con quella fissata dall’art.13, comma 12-ter, del dl n. 201 del 2011, secondo la quale i soggetti passivi devono presentare la dichiarazione entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta. Pertanto, ciò sta significando che, per beneficiare dell’esenzione prevista dalla lett. i) dell’art. 7 comma 1 del D.Lgs. 504/92, (Immobili appartenenti ad enti non commerciali destinati a fini assistenziali, di ricerca, ecc.) l’obbligo dichiarativo IMU/TASI, scatta, solo se si sono state variazioni rispetto a quanto già dichiarato al comune.
Nella dichiarazione gli enti non commerciali devono indicare tutti gli immobili posseduti distinguendo, nelle apposite sezioni, tra
- immobili totalmente imponibili (quadro A),
- immobili parzialmente imponibili e immobili esenti (quadro B).

Con riferimento agli immobili parzialmente imponibili, gli enti non commerciali sono tenuti ad indicare i criteri, stabiliti dal D.M. n. 200/2012, necessari a determinarne la percentuale di imponibilità in ragione dello svolgimento negli stessi di attività promiscua, non qualificabile esclusivamente come non commerciale.
Per quanto attiene invece le modalità di calcolo dell’imponibile in caso di utilizzo promiscuo dell’immobile, va segnalata un’anomalia nel modello di dichiarazione. Le modalità di determinazione del rapporto proporzionale sono definite dall’art. 5 D.M. n. 200 del 2012, il quale dispone che il rapporto è determinato con riferimento allo spazio, al numero dei soggetti nei confronti dei quali vengono svolte le attività con modalità commerciali ovvero non commerciali e al tempo.
Per le unità immobiliari destinate ad una utilizzazione mista, la proporzione è prioritariamente determinata in base alla superficie destinata allo svolgimento delle attività diverse da quelle esenti, rapportata alla superficie totale dell'immobile. Per le unità immobiliari che sono integralmente oggetto di un'utilizzazione mista, la proporzione è determinata in base al numero dei soggetti nei confronti dei quali le attività sono svolte con modalità commerciali, rapportato al numero complessivo dei soggetti nei confronti dei quali è svolta l'attività. Inoltre, nel caso in cui l'utilizzazione mista, oltre che nelle ipotesi sopra previste, è effettuata per periodi limitati dell'anno, la proporzione è determinata anche in base ai giorni durante i quali l'immobile è utilizzato per lo svolgimento delle attività commerciali.

In pratica, l’esenzione parziale deve essere considerata con riferimento ad una combinazione di condizioni:
- lo spazio (nel caso in cui l’utilizzo promiscuo si concretizzi nella destinazione ad attività commerciali di una parte dell’immobile non separabile funzionalmente sotto il profilo catastale);
- la platea dell’utenza (nel caso che l’attività commerciale sia diretta ad una parte degli utenti);
- il tempo durante il quale si protrae l’utilizzo commerciale dei locali o di quote di essi.
Nel caso più semplice, un immobile utilizzato in modo commerciale per il 50% della superficie nell’arco di un semestre, risulterà imponibile per il 25% del suo valore fiscale (valore IMU x 50% x 50%).

L’IFEL segnala anche che le istruzioni alla dichiarazione non considerano l’ipotesi in cui un fabbricato venga utilizzato contemporaneamente per più attività. È il caso, ad esempio, di un immobile utilizzato per una parte ad attività ricettiva e per un’altra parte ad attività ricreativa, entrambe svolte in forma commerciale. In questo caso c’è il rischio che l’ente dichiarante debba dichiarare lo stesso fabbricato due volte, una per ogni attività svolta.

L’obbligo di presentazione della dichiarazione ENC sussiste esclusivamente per quei soggetti che possiedono immobili esenti, o parzialmente esenti, da indicare nel quadro B, anche se unitamente a fabbricati totalmente imponibili, da indicare nel quadro A, conseguentemente, sussiste l’obbligo di presentazione della dichiarazione ordinaria nel caso di soggetti che possiedono immobili rientranti in una delle altre fattispecie esonerative diverse da quelle sopra considerate.

5 giugno 2017

PIGNORAMENTO IMMOBILIARE, COSA CAMBIA?

Il Dl 50 del 24/04/2017 rubricato “Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo” ed entrato in vigore il 24 Aprile introduce rilevanti novità in materia di riscossione coattiva relativamente ai pignoramenti immobiliari.

Appare, dalla lettura approfondita di tale manovra, che sarà più semplice per l’agente della riscossione procedere con il pignoramento immobiliare di abitazioni diverse dalla prima casa. E’ stata infatti variata la clausola in virtù della quale per poter procedere con l’espropriazione era necessario che il valore catastale del singolo immobile da espropriare superasse il limite di Euro 120.000, d’ora in avanti si considererà invece il valore catastale complessivo di tutti gli immobili diversi dall'abitazione principale e quindi il pignoramento sarà possibile in tutti i casi in cui la somma dei valori degli immobili raggiunga il tetto dei 120.000 Euro.  

Analizziamo la nozione di pignoramento che nel diritto italiano, agli articoli 491 e ss del c.p.c., si definisce l'atto con il quale si dà inizio all'espropriazione forzata. Dando ulteriore monito al debitore di astenersi da ogni atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni a esso assoggettati e i frutti di essi, con l'avvertimento che qualsiasi atto sarà invalido. Dunque una misura restrittiva che deve però basarsi sulla presenza di un titolo esecutivo e di un atto prodromico. Il pignoramento può essere iniziato solo dopo la notifica di quest'ultimo atto e dopo il decorso del termine per l'adempimento spontaneo in esso indicato.

Dunque le nuove condizioni per procedere con il pignoramento immobiliare vengono regolate dall’art. 8 del DL 50/2017, ricordiamo che non è possibile per l’agente della riscossione il pignoramento dell’abitazione principale, unica deroga a quanto stabilito è relativa alle abitazioni di lusso, ville e castelli.
Ricordiamo che su tale abitazione l'agente della riscossione potrà iscrivere ipoteca, resta così immutato il regime della misura cautelare per i beni immobili previsto dall’art. 76 DPR. 602/1973, come modificato dall’art. 16 del D.Lgs. 46/1999, purché il debito del contribuente superiori i 20 mila euro e l’agenzia di riscossione abbia provveduto alla regolare notificata del preavviso al debitore almeno 30 giorni prima dell’iscrizione.

Altra annotazione necessaria per procedere all’espropriazione dell’immobile è l’iscrizione all’ipoteca e che siano decorsi almeno 6 mesi dalla stessa senza che il debito sia stato estinto. Pertanto le condizioni sine qua non per procedere al pignoramento risultano essere due:
L’importo a ruolo, che deve superare complessivamente i 120.000 Euro e che siano trascorsi almeno sei mesi dall’iscrizione dell’ipoteca. Rispettate tali condizioni l’agente della riscossione potrà pertanto procedere con la procedura di pignoramento immobiliare per la riscossione coattiva. 
 
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