Dopo le stime sul maggior gettito Imu prodotto dal decreto Monti, che hanno provato a tagliare i fondi dei sindaci in cambio di un aumento degli incassi frutto dei calcoli ministeriali più della realtà e sono state bocciate dal Consiglio di Stato, tocca ora
al meccanismo pensato dai ministeri dell'Economia e dell'Interno nel 2009 per alleggerire le compensazioni riconosciute ai Comuni in seguito al cambio delle regole sul valore imponibile dei capannoni industriali.A definire i valori e gli obblighi di rimborso sono due sentenze la 698/2016 del Tribunale di Bologna e la 719/2016 di quello di Modena che hanno definito come illegittimo l’espediente messo in campo dal Governo nel 2009 per alleggerire il peso dei conti locali sulla finanza pubblica.
La storia è antica e risale al 2001, quando i Comuni avrebbero dovuto ricevere trasferimenti aggiuntivi per compensarli della perdita di gettito Ici derivante dall'autodeterminazione provvisoria delle rendite catastali dei fabbricati di categoria D, eseguita direttamente dai proprietari degli immobili come previsto dal decreto 701/94 del ministro delle Finanze. Il rimborso sarebbe scattato solo per le perdite di gettito considerate abbastanza pesanti da meritare la copertura, e per individuarle fu introdotto un doppio criterio: l'alleggerimento delle entrate avrebbe dovuto superare lo 0,5% della spesa corrente, e in ogni caso non essere inferiore a 1549,37 euro per evitare i costi dei micro-rimborsi ai Comuni più piccoli.
Il meccanismo ha funzionato per qualche anno fino a che, nel 2009, è stata chiesta agli enti locali una verifica del dare-avere, a cui è stato applicato un cambio di criterio piccolo all'apparenza ma significativo nei risultati: in pratica, il Governo decise si calcolare presupposti dei rimborsi sulla base delle variazioni di gettito registrate in ogni singolo anno, e non in tutto il periodo, con il risultato di escludere molti Comuni dagli indennizzi. Con questo sistema, se in un Comune le variazioni di rendita sono avvenute per esempio in due anni, dal terzo anno i rimborsi si sono azzerati, anche se naturalmente la perdita di gettito è continuata perché l'Ici (ora Imu-Tasi) si paga tutti gli anni.
Proprio su questo disallineamento fra la ratio della norma, nata per compensare i Comuni degli effetti finanziari prodotti dalle variazioni di rendita, e la sua applicazione, che non garantisce il risultato, poggiano le due sentenze emiliane, all'interno di un contenzioso che ovviamente ha repliche in tutta Italia.
Il meccanismo ha funzionato per qualche anno fino a che, nel 2009, è stata chiesta agli enti locali una verifica del dare-avere, a cui è stato applicato un cambio di criterio piccolo all'apparenza ma significativo nei risultati: in pratica, il Governo decise si calcolare presupposti dei rimborsi sulla base delle variazioni di gettito registrate in ogni singolo anno, e non in tutto il periodo, con il risultato di escludere molti Comuni dagli indennizzi. Con questo sistema, se in un Comune le variazioni di rendita sono avvenute per esempio in due anni, dal terzo anno i rimborsi si sono azzerati, anche se naturalmente la perdita di gettito è continuata perché l'Ici (ora Imu-Tasi) si paga tutti gli anni.
Proprio su questo disallineamento fra la ratio della norma, nata per compensare i Comuni degli effetti finanziari prodotti dalle variazioni di rendita, e la sua applicazione, che non garantisce il risultato, poggiano le due sentenze emiliane, all'interno di un contenzioso che ovviamente ha repliche in tutta Italia.