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31 ottobre 2017

ESENZIONE DAL CANONE IDRICO INTEGRATO, UN NODO SCIOLTO

La tariffa del canone di fognatura e depurazione, così come disciplinata dal previgente art. 14, L. 5.1.1994, n. 36, venne costruita quale sommatoria ponderata dei costi di gestione delle opere necessarie al servizio idrico integrato, nonché dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, in modo da assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio del servizio pubblico.

Prima delle modifiche legislative introdotte dall’art. 24, D.Lgs. 18.8.2000, n. 258 e solo fino al 3.10.2000, il canone in esame era considerato un tributo, dovuto a prescindere dall’effettiva stipula di un contratto di utenza. Solo a partire dal 4.10.2000 la giurisprudenza è unanime nella considerazione della tariffa in esame quale corrispettivo di un servizio pubblico a tutti gli effetti, la cui debenza è quindi collegata inscindibilmente alla concreta fruizione del servizio da parte dell’utente.

La tariffa del servizio idrico integrato, determinata dall’Autorità d’Ambito, ai sensi dell’articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006, costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”.

Anche i giudici amministrativi hanno affermato che “la definizione della tariffa è ispirata alla rigorosa applicazione del principio di corrispettività, al quale sono improntate tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato (articolo 154, comma 1, ult. per. d.lgs n. 152/2006) e la cui valenza è tale che, per l’ipotesi in cui esso non possa trovare piena esplicazione, e ciononostante il legislatore ritenga ugualmente necessaria la corresponsione integrale della tariffa, sono state dettate apposite disposizioni volte a derogarvi”

Le controversie relative alla debenza, a partire dal 3.10.2000, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue rientrano nella giurisdizione ordinaria, e non in quella delle commissioni tributarie, anche se promosse successivamente al 3.12.2005, proprio a fronte della natura corrispettiva del servizio idrico integrato, inteso quale insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue. Tale definizione, ha rappresentato il presupposto normativo su cui è stato imperniato il concetto di “unitarietà” tanto in relazione al modello organizzativo di gestione del servizio idrico quanto, conseguenzialmente, alla “essenza” della quota tariffaria ad esso afferente.

Negli anni però questione giurisprudenziale dibattuta è stata la debenza della tariffa della quota spettante il servizio della depurazione delle acque reflue, con sentenza della Corte Costituzionale, 10.10.2008, n. 335, è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 155, co. 1, primo periodo, D.Lgs. 152/2006, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione è dovuta dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. È stata quindi ravvisata nella norma illegittima l’irragionevole eliminazione di qualsiasi diretta relazione tra il pagamento della quota afferente la depurazione e l’effettivo svolgimento del servizio che tale pagamento avrebbe dovuto retribuire, disciplinando in tal modo la corresponsione della quota in modo non coerente con la sua natura di corrispettivo contrattuale. La Suprema Corte è altresì concorde nel considerare a carico del soggetto gestore del servizio di fognatura e depurazione, il quale pretenda la riscossione degli oneri relativi al servizio di depurazione delle acque reflue riferite ad un determinato periodo temporale, l’onere di dimostrare l’esistenza di un impianto di depurazione funzionante proprio in relazione a tale preciso periodo, oggetto di fatturazione.
Avendo natura di corrispettivo di una prestazione contrattuale a partire dal 4.10.2000, non deve essere imputato a chi non beneficia del servizio soggetto al rapporto di condizionalità reciproca delle prestazioni, pertanto il contribuente non può essere tenuto a pagare il corrispettivo di un servizio di depurazione delle acque che non viene erogato.

Con Sentenza 7210 del 2016 la Cassazione ha ribadito tale principio, dunque, pur essendo pacifico che all’utente non allacciato alla rete fognaria non siano erogati i relativi servizi, l’assunto afferma che il servizio di fognatura e depurazione non è reso per mancata istituzione o predisposizione degli impianti da parte del Comune o per la loro temporanea inattività non è altresì equivalente al concetto di servizio non usufruito dall’utente che non abbia voluto allacciarsi alla rete di fognatura e depurazione comunale predisposta e funzionante.

Nel caso in cui l’utente sia dotato di sistemi di collettamento e depurazione propri, deve essere verificata secondo il principio “chi inquina paga”, riportato nell’art. 154, co. 1, D.Lgs. 152/2006, nel rispetto delle disposizioni europee in materia ambientale espresse nell’art. 191, Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea. In particolare, l’art. 155, co. 1, ultimo periodo, D.Lgs. 152/2006, prevede che la tariffa non sia dovuta se l’utente è dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell’ente di governo dell’ambito.

Tale sentenza conclude affermando quindi il principio di diritto in base al quale la debenza della tariffa di fognatura e depurazione, quale componente del corrispettivo del servizio idrico integrato, non è automaticamente esclusa nel caso in cui i relativi impianti di fognatura e depurazione siano stati dall’ente locale predisposti e siano attivi e la mancata fruizione dei relativi servizi dipenda da un comportamento volontario dell’utente che non intenda allacciarvisi, provvedendo alle rispettive esigenze con sistemi propri.

In tal caso infatti incombe all’utente, che intenda sottrarsi al pagamento della tariffa, l’onere probatorio di dimostrare la compatibilità dei propri sistemi di collettamento e depurazione delle acque reflue provenienti da scarichi di insediamenti domestici con le preminenti finalità di tutela ambientale e della concorrenza relative all’istituzione del servizio idrico integrato così come disciplinate in ambito comunitario.



Si riassumono in tabella i principali casi di esenzione dal canone di fognatura e depurazione
COMPONENTI TARIFFA
SERVIZIO IDRICO
INTEGRATO
Natura quale componente tariffaria fino al 3.10.2000
Natura quale componente tariffaria dal 4.10.2000
Canone fognatura
Tributo
Corrispettivo
Canone depurazione
Tributo
Corrispettivo
ESENZIONI:
CANONE FOGNATURA a
partire dal 4.10.2000
CANONE DEPURAZIONE a
partire dal 4.10.2000
1) Mancato allaccio alla rete fognaria con impianto di depurazione non esistente o temporaneamente non funzionante
Non dovuto
Non dovuto
2) Mancato allaccio alla rete fognaria esistente e funzionante con impianto di depurazione esistente e funzionante
Non dovuto solo se l’utente dimostra la compatibilità dei propri sistemi di collettamento e depurazione delle acque reflue domestiche con le preminenti finalità di tutela ambientale e della concorrenza relative all’istituzione del servizio idrico integrato.
Non dovuto solo se l’utente dimostra la compatibilità dei propri sistemi di collettamento e depurazione delle acque reflue domestiche con le preminenti finalità di tutela ambientale e della concorrenza relative all’istituzione del servizio idrico integrato.
3) Allaccio alla rete fognaria con impianto di depurazione inesistente o non funzionante
Dovuto
Non dovuto
4) Allaccio alla rete fognaria con impianto di depurazione esistente e funzionante
Dovuto
Dovuto

30 ottobre 2017

FONDO RISCHI CONTENZIOSO

Nelle amministrazioni pubbliche la contabilità finanziaria costituisce il sistema contabile principale e fondamentale per fini autorizzatori e di rendicontazione della gestione. La contabilità finanziaria rileva le obbligazioni, attive e passive, gli incassi ed i pagamenti riguardanti tutte le transazioni poste in essere da una amministrazione pubblica, anche se non determinano flussi di cassa effettivi.

La rilevazione delle transazioni da cui non derivano flussi di cassa è effettuata al fine di attuare pienamente il contenuto autorizzatorio degli stanziamenti di previsione. La registrazione delle transazioni che non presentano flussi di cassa è effettuata attraverso le regolarizzazioni contabili, costituite da impegni cui corrispondono accertamenti di pari importo e da mandati versati in quietanza di entrata nel bilancio dell’amministrazione stessa. Le regolazioni contabili sono effettuate solo con riferimento a transazioni che riguardano crediti e debiti o che producono effetti di natura economico-patrimoniale.

Ogni procedimento amministrativo che comporta spesa deve trovare, fin dall’avvio, la relativa attestazione di copertura finanziaria ed essere prenotato nelle scritture contabili dell’esercizio individuato nel provvedimento che ha originato il procedimento di spesa. Alla fine dell’esercizio, le prenotazioni alle quali non hanno fatto seguito obbligazioni giuridicamente perfezionate e scadute sono cancellate quali economie di bilancio.

L’impegno costituisce la prima fase del procedimento di spesa, con la quale viene registrata nelle scritture contabili la spesa conseguente ad una obbligazione giuridicamente perfezionata, avendo determinato la somma da pagare ed il soggetto creditore e avendo indicato la ragione del debito e costituito il vincolo sulle previsioni di bilancio, nell’ambito della disponibilità finanziaria accertata con l’apposizione del visto di regolarità contabile attestante la copertura finanziaria.

In tale ottica confluisce l’ultima deliberazione della Corte dei conti n. 238/2017 con la quale si approfondisce la complessa questione dell’operatività del Fondo rischi e spese di cui all’allegato 4.2, D.lgs 118/2011. In forza di detta deliberazione, l’Ente che preveda un contenzioso con rilevanti probabilità di soccombenza è tenuto ad accantonare le risorse necessarie con apposito fondo rischi per il pagamento degli oneri previsti dalla sentenza, stanziando nell’esercizio le relative spese, che a fine esercizio, incrementeranno il risultato di amministrazione che dovrà essere vincolato alla copertura delle eventuali spese derivanti dalla sentenza definitiva.

Tale conclusione appare evidente che riprenda il principio esposto già nell’allegato 4.2 di cui sopra. Difatti su tale documento, punto 5, lettera h): “nel caso in cui l’ente, a seguito di contenzioso in cui ha significative probabilità di soccombere, o di sentenza non definitiva e non esecutiva, sia condannato al pagamento di spese, in attesa degli esiti del giudizio, si è in presenza di una obbligazione passiva condizionata al verificarsi di un evento (l’esito del giudizio o del ricorso), con riferimento al quale non è possibile impegnare alcuna spesa. In tale situazione l’ente è tenuto ad accantonare le risorse necessarie per il pagamento degli oneri previsti dalla sentenza, stanziando nell’esercizio le relative spese che, a fine esercizio, incrementeranno il risultato di amministrazione che dovrà essere vincolato alla copertura delle eventuali spese derivanti dalla sentenza definitiva. A tal fine si ritiene necessaria la costituzione di un apposito fondo rischi. Nel caso in cui il contenzioso nasca con riferimento ad una obbligazione già sorta, per la quale è stato già assunto l’impegno, si conserva l’impegno e non si effettua l’accantonamento per la parte già impegnata. L’accantonamento riguarda solo il rischio di maggiori spese legate al contenzioso.

In occasione della prima applicazione dei principi applicati della contabilità finanziaria, si provvede alla determinazione dell’accantonamento del fondo rischi spese legali sulla base di una ricognizione del contenzioso esistente a carico dell’ente formatosi negli esercizi precedenti, il cui onere può essere ripartito, in quote uguali, tra gli esercizi considerati nel bilancio di previsione o a prudente valutazione dell’ente, fermo restando l’obbligo di accantonare nel primo esercizio considerato nel bilancio di previsione, il fondo riguardante il nuovo contenzioso formatosi nel corso dell’esercizio precedente (compreso l’esercizio in corso, in caso di esercizio provvisorio). In presenza di contenzioso di importo particolarmente rilevante, l’accantonamento annuale può essere ripartito, in quote uguali, tra gli esercizi considerati nel bilancio di previsione o a prudente valutazione dell’ente. Gli stanziamenti riguardanti il fondo rischi spese legali accantonato nella spesa degli esercizi successivi al primo, sono destinati ad essere incrementati in occasione dell’approvazione del bilancio di previsione successivo, per tenere conto del nuovo contenzioso formatosi alla data dell’approvazione del bilancio. In occasione dell’approvazione del rendiconto è possibile vincolare una quota del risultato di amministrazione pari alla quota degli accantonamenti riguardanti il fondo rischi spese legali rinviati agli esercizi successivi, liberando in tal modo gli stanziamenti di bilancio riguardanti il fondo rischi spese legali (in quote costanti tra gli accantonamenti stanziati nel bilancio di previsione).” Questo quanto esposto dal Legislatore per disciplinare tale intricata materia.

Dunque, le quote accantonate, saranno utilizzabili solo a seguito del verificarsi dei rischi per i quali sono state accantonate le relative risorse; altresì quando si accerta che la spesa non può più verificarsi la corrispondente quota è liberata dal vincolo. Nel caso di risultato negativo, l’Ente dovrà ripartire le risorse necessarie a sostenere le spese cui erano destinate originariamente le entrate vincolate nel risultato di amministrazione e nel successivo bilancio preventivo occorrerà trovare le risorse necessarie per finanziarie le spese relative che al contrario saranno prive di copertura.

Il debito che deriva dalla sentenza di condanna dell'ente, che ha per oggetto le sole spese legali per il giudizio, determina un debito fuori bilancio se non è stato disposto un accantonamento di somme nel fondo rischi. Nel caso di un debito fuori bilancio il responsabile del procedimento di spesa deve avviare la specifica procedura sul riconoscimento da parte dell'organo consiliare che, oltre ad una istruttoria debitamente motivata, esige il parere del revisore dei conti ed il successivo invio della deliberazione alla Procura della Corte dei Conti per la verifica delle eventuali responsabilità.

23 ottobre 2017

IL DECORSO DEL TEMPO NEL DIRITTO TRIBUTARIO: DECADENZA E PRESCRIZIONE

Come per il diritto privato, anche nel diritto tributario si discute circa la prescrizione e la decadenza in termini di istituti giuridici. Tali figure, sono direttamente proporzionali alla dimensione temporale degli atti e correlativamente per l’esercizio dei propri diritti, difatti, il decorso del tempo, insieme con altri elementi, può assumere rilievo per l’ordinamento giuridico, e più in particolare può influire sull’acquisto e sull’estinzione dei diritti.

La disciplina degli istituti della prescrizione e della decadenza si rinviene innanzi tutto nel codice civile, e così in particolare negli artt. 2934 e ss. e negli artt. 2964 e ss. C.c..
In via generale la prescrizione, equivale ad una perdita di forza del diritto e non ad una causa estintiva del diritto. Al contrario, la decadenza prevede un’inerzia prolungata di chi aveva l’onere della pretesa del diritto e pertanto si configura una presunzione di abbandono del diritto stesso, ciò in quanto la decadenza è la necessità che un diritto, ma molto più spesso un potere, sia esercitato entro un determinato termine.

In materia tributaria la legislazione spesso prevede termini di decadenza, mentre solo in rare occasioni si parla di prescrizione, valendo al riguardo in via generale le regole civilistiche.
In linea di massima si parla di decadenza con riferimento a:
- Potere di accertamento;
- Potere di liquidazione;
- Potere di iscrizione a ruolo;
- Diritto al rimborso da parte del contribuente.

Deve ritenersi invece soggetto a prescrizione il diritto di credito già definitivamente sorto e non ancora attuato per l’inadempimento del debitore. Lo Statuto del Contribuente (L. 27.7.2000 n. 212) all’art. 3 ha previsto che i termini di prescrizione e decadenza per gli accertamenti d’imposta non possono essere prorogati. Secondo l’art. 1 le norme dello Statuto non sarebbero derogabili se non espressamente e mai con norme speciali. In via generale può affermarsi che anche in materia tributaria la Prescrizione non può essere rilevata d’ufficio; ad essa si applicano gli istituti della sospensione e della interruzione, secondo l’ordinaria disciplina civilistica.

Relativamente ai diritti del contribuente qualunque atto di messa in mora è idoneo a produrre un effetto interruttivo. La notifica di una cartella di pagamento o di una ingiunzione fiscale produce un effetto interruttivo, mentre l’impugnazione del ruolo, della cartella o dell’ingiunzione produce un effetto sospensivo del decorrere del tempo.

Come già osservato in via generale può dirsi che si ha decadenza, per espressa previsione di legge, l’infruttuoso decorso di un termine che consuma la possibilità di esercitare un potere idoneo a far acquistare un diritto. In materia tributaria può aggiungersi che l’infruttuoso decorso del termine, idoneo per volontà del legislatore a determinare la decadenza, può consistere nella mancata conclusione di un procedimento o, qualora si tratti del contribuente, nella omissione di un comportamento attivo.

La decadenza nei tributi locali è regolata dal comma 161 dell’articolo 1 della legge 296/2006 “Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”. Il successivo comma 163 detta altra cadenza temporale imponendo di notificare il titolo esecutivo (cartella o ingiunzione) entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo.
La riscossione a mezzo ruolo delle entrate locali, in base all'articolo 72, comma 1, D.Lgs 507/1993, deve avvenire entro l'anno successivo a quello per il quale è dovuto il tributo.

Salvati i termini di decadenza dell’azione amministrativa, si aprono quelli relativi alla prescrizione che sono regolati in via generale da due articoli del codice civile: l’articolo 2946, che individua la prescrizione decennale, e l’articolo 2948 che definisce la prescrizione breve della durata di cinque anni. Diverse sentenze di Cassazione avrebbero individuato per i tributi locali, il termine di prescrizione quinquennale, riferendosi a tutto ciò che è proprio dei canoni, degli interessi e in generale tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi (Cassazione 4283/2010: tributi periodici e canoni cinque anni).

Nella pratica, la decadenza si rispetta unicamente notificando l’atto tipico che la legge definisce per i tributi locali (accertamento/ingiunzione/cartella). 
Invece la prescrizione si interrompe con un semplice invito al pagamento.

20 ottobre 2017

MESSI COMUNALI O MESSI NOTIFICATORI?

La figura del messo comunale fino all’entrata in vigore della Legge 8 giugno 1990 n. 142, era disciplinata dagli artt. 273 e 274 del TULCP, approvato con RD 383 del 1934.
La Legge 142 ha poi abrogato gli articoli recanti tali disposizioni e sebbene anche il successivo D.Lgs 267 del 2000 non abbia approvato la figura del messo comunale, così è rimasta nel nostro ordinamento giuridico essendo, la stessa e le sue caratteristiche, desumibili da altre leggi tutt'ora vigenti.

Prima fra tutte è senza dubbio il RD 642/1907 nel quale viene stabilito che la notificazione può essere effettuata direttamente a mezzo di soggetti a ciò abilitati, che consegnano agli interessati i provvedimenti di cui debbano prendere notizia. Nel 2007 c’è stato un’indispensabile intervento del Legislatore con la finanziaria, in merito ai messi notificatori e a tutti coloro che devono procedere alla notifica degli atti di accertamento dei tributi locali.

Ricordiamo altresì che nell’ambito tributario il messo notificatore è una figura che viene istituita dalla Legge 1429 del 1940 e identifica come tale il soggetto munito di un apposito titolo abilitativo, in origine definito “patente”, che lo legittima a notificare non solo gli avvisi, ma anche tutti i provvedimenti prodotti dall’Amministrazione finanziaria e che la legge dispone siano da notificare al contribuente.

In materia di notificazione quindi innumerevoli sono stati nel corso degli anni gli interventi volti a modificare, integrare e o abrogare le normative, di rilevante importanza appare però l’emanazione dell’articolo 10 della Legge 265 del 1999: “Le pubbliche amministrazioni di cui all' articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni, possono avvalersi, per le notificazioni dei propri atti, dei messi comunali, qualora non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle altre forme di notificazione previste dalla legge." Tale disposizione, pertanto, garantisce la possibilità alla PA di disporre del servizio svolto dai messi, qualora ne sia necessario.

Viene poi istituito l’articolo 45 del DLgs 112/1999, che in attuazione della delega di settembre 1998, ha previsto accanto alla figura del messo comunale quella del messo notificatore, nominato dai soggetti concessionari del servizio nazionale della riscossione, abilitato soltanto alla notifica delle cartelle di pagamento e degli avvisi contenenti l’intimazione ad adempiere, esclusivamente nel territorio dei comuni compresi nella competenza del concessionario. Ove non si disponga dei messi notificatori è possibile servirsi dei messi comunali, le funzioni sono per lo più assimilabili a quelle degli ufficiali giudiziari.

L’atto di notificazione assume le sembianze di manifestazione di conoscenza, con una sentenza il Consiglio di Stato del 2003 ha fissato degli importanti punti fermi in merito alla figura del messo comunale, considerandolo un soggetto investito direttamente dal Comune delle relative funzioni, indipendentemente dal rapporto lavorativo che ha con la Pubblica Amministrazione, con l’unico presupposto che il messo notificatore sia abilitato, in forza di apposito atto di investitura, all’esercizio della pubblica funzione, coincidendo così con l’organo amministrativo.

Dunque, l’espressione messo comunale deve leggersi nel senso letterale e soggettivo del termine, corrispondente al soggetto investito delle funzioni di notificazione, direttamente e immediatamente dal Comune e per conto del Comune e norma chiave in materia è senza alcun dubbio l'articolo suddetto 10 della legge 265/1999 che stabilisce, il principio per il quale gli atti della pubblica amministrazione vengano notificati dai messi comunali. Appare semplice il rimando ai principi generali sul funzionamento degli uffici comunali ed alla titolarità di poteri di nomina all'interno degli stessi, ed è così che risulta evidente la competenza generale del sindaco per quanto riguarda le nomine d'incarico disciplinato dall'art. 50, comma 10 del D.lgs 267/2000. Tali soggetti nominati direttamente con decreto del sindaco, quindi dal Comune stesso, hanno pieni poteri di notifica, mantenendo altresì piena competenza su tutti i provvedimenti dell'ente.
Con la Finanziaria del 2007 il legislatore è invece intervenuto anche sulla nomina dei "messi speciali", con i commi da 158 a 160. Il comma 158 dispone che a tale nomina deve provvedere il dirigente competente con propria determinazione, provvedimento formale, con limiti restrittivi da osservare. Difatti, i messi nominati ai sensi della predetta normativa, si connotano come "messi notificatori", e hanno competenza per notificare solo 3 tipologie di atti: atti di accertamento, atti delle procedure esecutive ex RD 639/1910 e atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie.

La nomina, come per i messi comunali, può essere fatta tra i dipendenti comunali oppure tra quelli a cui l’ente ha affidato il servizio di riscossione e accertamento dei tributi, nonché tra coloro che per qualifica professionale, esperienza, capacità e affidabilità forniscono idonea garanzia del corretto svolgimento delle funzioni assegnate, in quanto sono obbligati a superare un esame di idoneità, al termine di un corso di formazione e qualificazione opportunatamente organizzato dall’Ente.

16 ottobre 2017

SENTENZE, VIA ALLA ESECUTIVITA' IMMEDIATA. TEMPI CERTI E GARANZIE

Con il Decreto Legislativo 546 del 1992 si è normato e regolamentato il processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413. Con tale disposizione si è pertanto ordinato l’intero sistema attuativo del diritto tributario “processuale”.
In quest’analisi vogliamo però definire un aspetto, alquanto dibattuto e di recentissima risoluzione a livello giurisprudenziale, l’esecutività delle sentenze, o nella sua primordiale accezione, la condanna dell’ufficio al rimborso, articolo 69 del citato decreto 546/1992.
Secondo un’interpretazione dell’Agenzia delle entrate, l’art. 69 del D.lgs n. 546 del 1992, prima delle modifiche apportate dal D.lgs n. 156 del 2015, doveva interpretarsi nel senso che le sentenze emesse dal giudice tributario divenivano esecutive solo se a favore degli Uffici; se risultavano a favore del contribuente il termine di 90 giorni previsto per il rimborso delle imposte veniva ritenuto un termine ordinatorio e non perentorio.

Il D.lgs. 156/2015 ha disposto un identico trattamento tra Fisco e contribuenti: le sentenze emesse dalla Commissione tributaria, a favore del contribuente, divengono immediatamente esecutive. Il decreto ha dato pertanto concreta attuazione al regime di immediata esecuzione. Storicamente, difatti, la sentenza emessa dal giudice tributario produceva effetti differenti a seconda che il soccombente fosse il soggetto ricorrente o l’ente impositore.
Nel primo caso la pronuncia diveniva esecutiva con la conseguenza, che in caso di mancato pagamento, le relative somme venivano iscritte a ruolo per effetto della loro natura dichiarativa derivante dall'infondatezza pronunciata dal Giudice tributario non modificando, dunque, la situazione sostanziale. È quanto espressamente previsto dal D.lgs 546/1992 art. 68 il quale dispone una gradualità nel pagamento della prestazione richiesta in funzione del grado della Commissione. Tale disposizione stabilisce, in particolare, che il tributo con i relativi interessi deve essere pagato:

a. per i due terzi dopo la sentenza della Commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso;
b. per l’ammontare risultante dalla sentenza della Commissione tributaria provinciale e, comunque, non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso;
c. per il residuo ammontare determinato nella sentenza della Commissione tributaria regionale.

Qualora, viceversa, il giudice tributario avesse accolto il ricorso, o l’appello, del contribuente l’ente impositore era tenuto a restituire quanto riscosso in eccedenza rispetto a quanto dovuto con i relativi interessi entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza, art. 69.
Tale termine, prima della sostituzione intervenuta ad opera dell'art. 9, comma 1, lettera gg), D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, non avrebbe tuttavia avuto, secondo un discutibilissimo orientamento dell'Amministrazione finanziaria, natura perentoria, ma ordinatoria, ne derivava, secondo questa impostazione, che il contribuente pur risultando vittorioso in giudizio, avrebbe potuto agire, per ottenere l’esecuzione di tale sentenza, solo dopo che essa fosse passata in giudicato secondo le norme del codice di procedura civile ovvero promuovendo il giudizio di ottemperanza avanti alle Commissioni.

Il D.lgs. n. 156/2015 ha riformulato il testo dell’art. 69 del D.lgs. n.546/92 ed ha così introdotto l’immediata esecutività delle sentenze di condanna dell’Amministrazione Finanziaria al pagamento di somme in favore del contribuente e di quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali. Orbene, attraverso la completa riscrittura dell’art. 69 del D.lgs. n.546/1992 e l’estensione dell’immediata esecutorietà delle sentenze non definitive a tutte le parti in causa (e non più solo all’Amministrazione Finanziaria) si è inteso porre rimedio alla ingiustificata disparità di trattamento esistente tra contribuente e Fisco. Infatti, mentre nelle liti di impugnazione degli atti impositivi, a seguito di una sentenza favorevole all’Amministrazione Finanziaria, quest’ultima, ai sensi dell’art. 68 del D.lgs. n. 546/1992, aveva la possibilità di riscuotere, in via provvisoria e graduale, le pretese erariali prima dell’insorgenza della res iudicata, al contrario, prima della riforma, le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente e di quelle emesse su ricorso avverso gli atti non erano esecutive se non a seguito del passaggio in giudicato della sentenza.

In buona sostanza, tale intervento di riforma ha comportato la completa riscrittura dell’art. 69 del D.Lgs. n.546/1992, rinominando persino la sua rubrica da “Condanna dell’ufficio al rimborso” ad “Esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente”.
E’ stata così disciplinata da un lato, l’immediata esecutività delle sentenze di condanna dell’Amministrazione Finanziaria al pagamento di somme in favore del contribuente e di quelle emesse su ricorso avverso gli atti (sostituendo le previgenti disposizioni contenute negli artt. 69 e 69 bis che prevedevano l’esecuzione della sentenza solo dopo la formazione della res iudicata) e dall’altro, la possibilità per il contribuente di ricorrere al giudizio di ottemperanza al fine di ottenere l’esecuzione di tali pronunce. La procedura per l’ottenimento della restituzione delle somme sarà identica a quella disegnata nell’art. 68, co. 2, del citato decreto pertanto e a tal scopo: occorrerà innanzitutto notificare la sentenza alla controparte e attendere il decorso di 90 giorni; ed in caso di inerzia dell’ente impositore, si dovrà attivare il giudizio di ottemperanza a norma dell’art. 70.

Nel decreto di revisione del processo tributario, è stato previsto che la norma in tema di esecutività delle sentenze a favore del contribuente, pur entrando in vigore il 01.06.2016, non fosse applicabile fino all’approvazione del decreto ministeriale recante la disciplina della garanzia ivi prevista, che è stato pubblicato in data 6 febbraio 2017, n. 22.

Tuttavia, occorre precisare che per evitare il rischio che, una volta ottenuto il pagamento di una somma a titolo di rimborso (in virtù di una sentenza esecutiva impugnata dall’A.F.), non sia più possibile il recupero delle somme erogate in caso di successiva riforma della sentenza, il legislatore ha previsto a tutela dei crediti della PA, che il rimborso di somme di ammontare superiore a 10 mila euro, diverse dalle spese di lite, possa essere subordinato dal giudice alla presentazione di idonea garanzia anche tenuto conto delle condizioni di solvibilità dell’istante. 

L'intervento del legislatore tributario, effettuato mediante il richiamato D.Lgs. n. 156/2016, ha quindi equiparato i diritti dei soggetti passivi d'imposta a quelli dell'Amministrazione finanziaria ancorché l'esecutorietà del rimborso può risultare subordinata, per gli importi superiori ad euro 10.000, alla prestazione di idonea garanzia qualora le condizioni di solvibilità del contribuente dovessero richiederla.

In caso di mancata esecuzione della sentenza, il contribuente ha la facoltà di instaurare un giudizio d’ottemperanza avanti la Commissione tributaria provinciale o, se il giudizio é pendente nei gradi successivi, alla Commissione tributaria regionale.

Alla luce delle evidenziate modifiche legislative le sentenze che dispongono il pagamento di somme a favore del contribuente, incluse le spese di lite, sono quindi immediatamente esecutive e il contribuente ha diritto ad ottenere l’erogazione del dovuto entro 90 giorni, anche se la decisione non è definitiva.

11 ottobre 2017

14 OTTOBRE 2017 APPUNTAMENTO CON IL MEF

A decorrere dall'anno d'imposta 2012, tutte le deliberazioni regolamentari e tariffarie relative alle entrate tributarie degli enti locali devono essere inviate al Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento delle finanze, entro il termine di cui all'articolo 52, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, e comunque entro trenta giorni dalla data di scadenza del termine previsto per l'approvazione del bilancio di previsione. 

Il mancato invio delle predette deliberazioni nei termini previsti e' sanzionato, previa diffida da parte del Ministero dell'interno, con il blocco, sino all'adempimento dell'obbligo dell'invio, delle risorse a qualsiasi titolo dovute agli enti inadempienti. Con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell'interno, di natura non regolamentare sono stabilite le modalità' di attuazione della trasmissione. Il Ministero dell'economia e delle finanze pubblica successivamente sul proprio sito, le deliberazioni inviate dai comuni e tale pubblicazione sostituisce l'avviso in Gazzetta Ufficiale previsto dall'articolo 52, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo n. 446 del 1997.

Dall'anno di imposta 2013, le stesse deliberazioni di approvazione, è stato stabilito, debbano essere inviate esclusivamente per via telematica, mediante inserimento del testo nell'apposita sezione del Portale del federalismo fiscale, per la pubblicazione nel sito informatico di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, e successive modificazioni.

I comuni sono inoltre tenuti ad inserire nella suddetta sezione gli elementi risultanti dalle delibere, secondo le indicazioni stabilite dal Ministero dell'economia e delle finanze. L'efficacia delle deliberazioni e dei regolamenti decorre dalla data di pubblicazione degli stessi nel predetto sito informatico. 

In caso di mancata pubblicazione entro il termine del 28 ottobre, si applicano gli atti adottati per l'anno precedente.
Mediante inserimento delle suddette delibere comunali nel Portale del federalismo fiscale nell'apposita sezione dedicata, i Comuni potranno così inviare al Ministero tutte le proprie informazioni relative all'imposta unica comunale. La trasmissione telematica di tali atti costituisce adempimento dell'obbligo di invio di cui al combinato disposto dell'art.52, comma 2, del D.Lgs. 15 dicembre 197, n.446, e dell'art. 13, commi 13-bis e 15, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Pertanto, adempimento dei comuni appare essere non solo l’approvazione dei regolamenti e delle delibere di determinazione delle aliquote o delle tariffe della IUC entro il termine fissato dalle norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione, ma anche la trasmissione al suddetto portale (www.finanze.gov.it) al fine della relativa pubblicazione.

La pubblicazione costituisce condizione di efficacia dei regolamenti e delle delibere di approvazione delle aliquote e in caso di mancata pubblicazione entro il termine del 28 ottobre, si applicano gli atti adottati per l'anno precedente.

Ai fini della pubblicazione, i regolamenti e le delibere in materia di IMU, TASI e TARI devono essere trasmessi dai comuni esclusivamente per via telematica, come sancito dall'art 13 bis del DL 201/2011. Tale trasmissione telematica costituisce a tutti gli effetti adempimento dell’obbligo di invio degli atti al MEF. Per quanto concerne, poi, il termine entro cui deve essere effettuata la trasmissione dei regolamenti e delle delibere di approvazione delle aliquote o delle tariffe, si precisa che:

- per l’IMU e la TASI l’inserimento nel suddetto Portale deve avvenire entro il 14 ottobre di ciascun anno, ai fini della relativa pubblicazione che deve essere effettuata dal Dipartimento delle finanze entro il 28 ottobre;

- per la TARI, l’inserimento nel citato Portale deve avvenire entro trenta giorni dalla data di scadenza del termine previsto per l’approvazione del bilancio di previsione.

- per quanto riguarda altre entrate come la TARIP e il COSAP, bisogna richiamare la nota ministeriale del 28 febbraio 2014. Nel documento il ministero traccia la procedura di inserimento nel portale e indica la necessità di trasmettere le delibere e i regolamenti relativi alla TARIP nonché del COSAP. Probabilmente è una scelta dovuta al fatto che quest’ultime si istituiscono in luogo di quelle tributarie.

Si sottolinea che la legge di stabilità per il 2016, oltre ad anticipare il termine per l’inserimento degli atti nel Portale del federalismo fiscale dal 21 ottobre al 14 ottobre, ne ha espressamente sancito la natura perentoria.

3 ottobre 2017

VERSAMENTO SPONTANEO DELLE ENTRATE LOCALI: CONTI CORRENTI POSTALI

A decorrere dal 1 Ottobre 2017 si applicano le disposizioni contenute nell’articolo 2-bis del DL 193/2016, che introduce una nuova regola sui versamenti di denaro nella fase di versamento spontanea. 

La norma è rubricata come “Interventi a tutela del pubblico denaro e generalizzazione dell’ingiunzione di pagamento ai fini dell’avvio della riscossione coattiva” e contiene una direttiva di forte impatto gestionale e organizzativo e copre tutte le entrate dell’ente locale: IMU, TARI, TASI, TOSAP, ICP sanzioni amministrative, sanzioni Codice della Strada, Cosap, oneri edilizi, mense e altri servizi a domanda individuale, fitti e tutto ciò che transita nel bilancio dell’ente.

L’articolo 2-bis. “Interventi a tutela del pubblico denaro e generalizzazione dell’ingiunzione di pagamento ai fini dell’avvio della riscossione coattiva” così letteralmente sancisce: “1. In deroga all’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, il versamento spontaneo delle entrate tributarie dei comuni e degli altri enti locali deve essere effettuato direttamente sul conto corrente di tesoreria ovvero sui conti correnti postali ad esso intestati dell’ente impositore, o mediante il sistema dei versamenti unitari di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, o attraverso gli strumenti di pagamento elettronici resi disponibili dagli enti impositori. Restano comunque ferme le disposizioni di cui al comma 12 dell’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e al comma 688 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, relative al versamento dell’imposta municipale propria (IMU) e del tributo per i servizi indivisibili (TASI). Per le entrate diverse da quelle tributarie, il versamento spontaneo deve essere effettuato esclusivamente sul conto corrente di tesoreria dell’ente impositore ovvero sui conti correnti postali ad esso intestati o attraverso gli strumenti di pagamento elettronici resi disponibili dagli enti impositori ovvero, a decorrere dal 1º ottobre 2017, per tutte le entrate riscosse, dal gestore del relativo servizio che risulti comunque iscritto nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e si avvalga di reti di acquisizione del gettito che fanno ricorso a forme di cauzione collettiva e solidale già riconosciute dall’Amministrazione finanziaria, tali da consentire, in presenza della citata cauzione, l’acquisizione diretta da parte degli enti locali degli importi riscossi, non oltre il giorno del pagamento, al netto delle spese anticipate e dell’aggio dovuto nei confronti del predetto gestore.”

La norma, non derogabile con potestà regolamentare, nella versione rivista dal dl 50/2017 (art. 35), prevede l’incasso dei versamenti spontanei di tutte le entrate: sul conto corrente di tesoreria, sul conto corrente postale intestato all’ente impositore, mediante F24 (solo per i tributi), mediante strumenti di pagamento elettronici resi disponibili dagli enti impositori. 

Vista l’esclusione degli incassi derivati dalla fase di accertamento e riscossione coattiva che, non sono versamenti spontanei, la norma impone un obbligo di carattere gestionale finalizzato all’incasso diretto delle somme. Dunque, da ieri è entrata in vigore, e quindi opera di fatto, la nuova disciplina sul versamento spontaneo delle entrate locali, perché l’impatto sulle modalità di incasso e le difficoltà gestionali hanno costretto il Governo a intervenire con alcuni correttivi rispetto alla norma originaria in vigore dal 3 dicembre 2016, che imponeva di effettuare il pagamento spontaneo dei tributi locali sul conto corrente di tesoreria o mediante F24, oppure attraverso strumenti di pagamento elettronici, prevedendo quindi tre opzioni alternative, ad eccezione di Imu e Tasi da versare esclusivamente con F24. Per le entrate diverse da quelle tributarie (sanzioni al codice della strada, Cosap, oneri edilizi, refezione scolastica, eccetera) venivano invece previste due sole opzioni alternative: versamento sul conto corrente di tesoreria oppure tramite strumenti di pagamento elettronici.

L’obbligo di adeguamento dei contratti in corso non è esplicitamente previsto dalla norma. Va infatti ricordato che l’incasso sul conto del terzo, e dunque tutti gli attuali conti intestati al concessionario esterno, sono il frutto dell’applicazione normativa del DL 70/2011 art. 7 comma 2 lettera gg septies  “Nel caso di affidamento ai soggetti di cui all’articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, la riscossione delle entrate viene effettuata mediante l’apertura di uno o più conti correnti di riscossione, postali o bancari, intestati al soggetto affidatario e dedicati alla riscossione delle entrate dell’ente affidante, sui quali devono affluire tutte le somme riscosse. Il riversamento dai conti correnti di riscossione sul conto corrente di tesoreria dell’ente delle somme riscosse, al netto dell’aggio e delle spese anticipate dal soggetto affidatario, deve avvenire entro la prima decade di ogni mese con riferimento alle somme accreditate sui conti correnti di riscossione nel mese precedente”
L’operazione consta anche di un'adeguamento dei contratti con i concessionari in corso, rilevato che la modalità operativa più flessibile appare il conto corrente postale, il cambio di rotta comporta evidentemente l’apertura di un conto corrente dedicato da parte del comune, l’autorizzazione alla stampa del bollettino, l’attivazione della rendicontazione degli incassi da parte del comune. Così, è senz'altro opportuno adeguare il contratto per la nuova annualità, anche per evitare di creare confusione con la riscossione delle precedenti annualità che non possono avvalersi di tale nuova modalità di incasso.
Pertanto, dal 1° ottobre si è ampliata la possibilità di versare le entrate anche sui conti correnti postali intestati al Comune, restando comunque diversi i nodi da sciogliere. Soprattutto quello relativo all’esclusione della nuova disciplina agli accertamenti e agli atti della riscossione coattiva.
 
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