La Pubblica Amministrazione dinanzi ad una formale istanza
ha l’obbligo di concludere il procedimento, non potendo questa rimanere inevasa,
rispettando così i principi di correttezza, buon andamento e trasparenza,
consentendo alle parti di difendersi in giudizio in caso di provvedimenti
lesivi dei loro interessi giuridici. Questo il principio emerso dalla sentenza
n. 3827/16 del Consiglio di Stato, sezione III.
In forza dell’orientamento in esame non possiamo però non
citare l’articolo 2, comma 1 della Legge 241/1990 ove chiaramente si stabilisce
che il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba
essere iniziato d’ufficio, la PA ha il dovere di concluderlo mediante
l’adozione di un provvedimento espresso. Il comma 5, inoltre, salvi i casi di
silenzio - assenso, ai quali la Legge attribuisce il valore giuridico di
accoglimento della richiesta, decorso il termine di durata del procedimento,
mette a disposizione del richiedente il rimedio per ottenere un provvedimento espresso.
Ci si riferisce allo strumento di cui all’art. 117 codice del processo
amministrativo, o il ricorso giurisdizionale avverso il silenzio – rifiuto (o
silenzio – inadempimento), a seguito del quale il Giudice può ordinare alla PA
di provvedere sull'istanza e, ove occorra, può nominare un Commissario ad acta
perché disponga in via sostitutiva.
Da ciò si deduce come per il legislatore sia fondamentale la
risposta ad ogni istanza da parte della Pubblica Amministrazione, la quale non
può esimersi dal farlo.
Del resto, all'esito del giudizio sul silenzio dell'amministrazione
il giudice amministrativo deve limitarsi a rilevare se un obbligo di provvedere
vi sia e se il provvedimento sia stato emesso; sul punto i giudici rilevano che
per l'articolo 31, comma 3, del Codice del processo amministrativo «Il giudice
può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando
si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti
istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione».
Seguendo tale impostazione codicistica ne deriva, da un
lato, che se si tratta di «attività vincolata» il giudice può e non "deve"
valutare se sia il caso di pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa e –
dall'altro – se si tratta di attività discrezionale l'Amministrazione deve in
ogni caso svolgere i suoi compiti istituzionali e provvedere, con valutazioni
che non possono essere sostituite da quelle del giudice.
Pertanto la sopracitata sentenza dichiara l'illegittimità
del silenzio prestato, nel caso di specie dalla Regione e dal commissario ad
acta, ma ovviamente dobbiamo estendere il principio a tutte le fattispecie
ricollegabili e quindi generalizziamo parleremo di ente pubblico. Quindi con il
presente pronunciamento sembra essere impartito l’ordine alle amministrazioni
"silenziose" di concludere il procedimento mediante l'adozione di un
provvedimento che provveda definitivamente in merito all'istanza di
accreditamento istituzionale.