Più volte abbiamo analizzato la natura decadenziale del
potere/dovere di pretendere il tributo, come è noto pertanto è la Finanziaria
2007 che stabilisce che gli “avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio
devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto
anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o
avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate
o irrogate le sanzioni amministrative tributarie” (art. 1, comma 161, Legge 27
dicembre 2006, n. 296).
Il termine è rispettato, per l’Ente impositore, se l’atto di
accertamento viene affidato all’ufficiale incaricato della notifica a mezzo
posta prima della relativa scadenza: in questo caso l’atto è tempestivo anche se il procedimento di notificazione si conclude con
la consegna del documento al destinatario dopo il decorso del termine
(tipicamente, affidamento all’ufficiale postale a fine dicembre e consegna al
destinatario ai primi di gennaio). Difatti, “qualunque
notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione
della raccomandata” questo è il principio che regola la disciplina della
notificazione e che spesso gli uffici tributi si trovano a dover esplicare ai
contribuenti e farne oggetto di inutili ricorsi.
Si tratta, in buona sostanza, del recepimento del noto principio
processuale per il quale le notifiche si perfezionano in due momenti diversi:
per il notificante, alla consegna del documento all’ufficiale postale o
all’ufficiale giudiziario, per il destinatario alla ricezione. Ciò, nel settore
tributario, assume peraltro valenza generale, anche con riguardo ai tributi
locali: la Cassazione ha statuito infatti che “il principio secondo cui gli
effetti della notificazione eseguita a mezzo del servizio postale si producono
per il notificante al momento della consegna del piego all’ufficiale giudiziario
(ovvero al personale del servizio postale) e per il destinatario al momento
della ricezione, ha carattere generale e trova applicazione non solo con
riferimento agli atti processuali, ma anche con riferimento agli atti d’imposizione
tributaria. Ne consegue che il termine per verificare la tempestività della
notificazione dell’avviso di accertamento spedito a mezzo posta coincide con la
data di spedizione del plico e non con quella della sua ricezione da parte del
contribuente.
L’eccezione di decadenza è soggetta a limiti processuali
particolarmente stringenti. Il contribuente che intenda contestare la tardività
della pretesa tributaria per decorso del termine decadenziale deve farlo sin
dal ricorso introduttivo del giudizio davanti alla Commissione Tributaria ai sensi
dell’art. 19, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Ciò in quanto, secondo la Corte
di Cassazione, il termine di decadenza posto a carico dell’ufficio tributario
ed in favore del contribuente “ha natura sostanziale e non appartiene a materia
sottratta alla disponibilità delle parti, in quanto tale decadenza non concerne
diritti indisponibili dello Stato alla percezione di tributi, ma incide
unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio
patrimonio, oltre un certo limite di tempo, alle pretese del Fisco, sicché è
riservata alla valutazione del contribuente stesso la scelta di avvalersi o
meno della relativa eccezione, da ritenersi, pertanto, eccezione in senso
proprio, non rilevabile d’ufficio”.
Né l’eccezione di decadenza può essere sollevata la prima
volta con motivi aggiunti ai sensi dell’art. 24, Comma 2, D.Lgs. n. 546/1992:
infatti, tale integrazione dei motivi “è consentita (...) soltanto in relazione
alla contestazione di documenti depositati dalla contro parte e fino ad allora
non conosciuti (e comunque entro sessanta giorni dalla data in cui si è avuta
notizia di tali documenti)” (Cass. n. 24970 del 2005)”. Infine, la mancata
proposizione sin dal ricorso introduttivo dell’eccezione di decadenza dal
potere impositivo non può essere rimediata o sanata nemmeno proponendola per la
prima volta in secondo grado, stante il divieto di domande ed eccezioni nuove
in appello posto a pena di inammissibilità dall’art. 57, D.Lgs. n. 546/1992.