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28 febbraio 2018

TARIFFE TARI SENZA PIANO ECONOMICO FINANZIARIO: BOCCIATE


Partendo dall’articolo 1, comma 683 della Finanziaria 2014 possiamo condurre una critica analisi sulla tacita natura obbligatoria dell’approvazione del piano economico e finanziario contestualmente al termine per l’approvazione del bilancio di previsione, termine che per il 2018 la Conferenza Stato-Città ha prorogato al 31 marzo, precedentemente fissato al 28 febbraio.

Tornando al comma 683, “Il consiglio comunale deve approvare, entro il termine fissato da norme statali per l'approvazione del bilancio di previsione, le tariffe della TARI in conformita' al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal soggetto che svolge il servizio stesso ed approvato dal consiglio comunale o da altra autorita' competente a norma delle leggi vigenti in materia, e le aliquote della TASI, in conformita' con i servizi e i costi individuati ai sensi della lettera b), numero 2), del comma 682 e possono essere differenziate in ragione del settore di attivita' nonche' della tipologia e della destinazione degli immobili.”
Segue dunque che, il soggetto che svolge il servizio della gestione dei rifiuti, responsabile del settore, ha l’obbligo di redige il piano nel quale verranno elaborate e fissate le tariffe della tassa per lo smaltimento rifiuti. Tale piano è disciplinato dal DPR 158/1999.

L’art. 1 del D.P.R. n. 158 del 1999 si apre proclamando “E’ approvato il metodo normalizzato per la definizione delle componenti di costo da coprirsi con le entrate tariffarie e per la determinazione della tariffa di riferimento relativa alla gestione dei rifiuti urbani”. La tariffa di riferimento rappresenta, come poi specifica l’art. 2 del D.P.R. n. 158 del 1999, “l’insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa da parte degli enti locali” (comma 1), in modo da “coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani” (comma 2).
Il metodo, pertanto, è costituito da regole, che determinano, da un lato, i costi del servizio di gestione e, dall’altro, l’intera struttura tariffaria applicabile alle varie categorie di utenza, in maniera tale che il gettito che ne derivi copra tutti i costi del servizio, come indicato dalla norma.
Specifica poi l’art. 3, comma 2, che “La tariffa è composta da una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio e da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione. L’art. 4, comma 3, prescrive infine che “La tariffa, determinata ai sensi dell'art. 3, è articolata nelle fasce di utenza domestica e non domestica”.

Come specifica l’art. 8 del D.P.R. n. 158 del 1999, il Piano finanziario invece deve individuare, il programma degli interventi necessari concernenti, sia gli acquisti di beni o servizi, sia la realizzazione di impianti, il piano finanziario degli investimenti, che indica l’impiego di risorse finanziarie necessarie a realizzare gli interventi programmati, l’indicazione dei beni, delle strutture e dei servizi disponibili, nonché il ricorso eventuale all’utilizzo di beni e strutture di terzi, o all’affidamento di servizi a terzi, le risorse finanziarie necessarie, completando il piano finanziario degli investimenti e indicando in termini di competenza i costi e gli oneri annuali e pluriennali.
Le norme non indicano altresì il termine entro il quale debba essere approvato il piano, né in tal senso appare realmente significativo l’art. 9, comma 1, del D.P.R. n. 158 del 1999, che ne prescrive la trasmissione insieme alla relazione, entro il mese di giugno di ogni anno all’Osservatorio nazionale dei rifiuti, trattandosi di adempimento evidentemente successivo alla deliberazione stessa.
Il piano però appare evidente che costituisce l’indispensabile presupposto per le delibere tariffarie, si deve pertanto ritenere che la relativa approvazione debba intervenire prima delle stesse, o comunque come specifica l’art. 14, comma 23, del D.L. n. 201 del 2011, “entro il termine fissato da norme statali per l'approvazione del bilancio di previsione”, e quindi entro il 31 dicembre di ogni anno o la successiva data disposta per la deliberazione del bilancio preventivo (cfr. art. 151 del D.Lgs. n. 267 del 2000).

E’ questa la motivazione di diritto che ha spinto la Commissione tributaria regionale della Campania ha dichiarare illegittima la delibera di approvazione delle tariffe Tari adottata in assenza del piano economico-finanziario. L’accertamento emesso in applicazione di tali tariffe deve essere dunque annullato. Sentenza 8283/6/2017, che ci troviamo a condividere pienamente.

19 febbraio 2018

RISCOSSIONE COATTIVA IN PENDENZA DI GIUDIZIO?

Anche se l’avviso di accertamento viene impugnato, l’ici e gli altri tributi locali si riscuotono per intero, non si applica ai tributi locali, a differenza dei tributi erariali, la così detta “riscossione frazionata” in pendenza di giudizio. Il contribuente è tenuto a pagare per intero le somme accertate, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto impositivo. La Corte di Cassazione afferma con ordinanza 30170/2017 tale principio, per i giudici, l’articolo 68 del decreto legislativo 546/1992 che prevede il pagamento parziale dei tributi in pendenza del processo non si applica all’Ici, “in quanto per tale tributo non trova applicazione l’istituto della riscossione frazionata”. Segue che, nel caso di mancato versamento delle somme da parte del contribuente, entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, il comune o il concessionario, che svolge l’attività per conto dell’ente, possono riscuotere coattivamente le somme accertate. Appare evidente che tale principio valga anche per gli altri tributi, Imu, Tasi e Tari.

In caso di accertamenti non ancora divenuti definitivi, in pendenza dei ricorsi innanzi alle commissioni tributarie, è consentito all’ente impositore provvedere al recupero integrale della pretesa tributaria, e non soltanto nel limite di un terzo. In questo stesso senso si è espressa la commissione tributaria regionale di Palermo, sezione VIII, con la sentenza 2345/2017. Per la commissione regionale dichiara, “resta consentito all’ente impositore provvedere all’iscrizione a ruolo della pretesa tributaria per intero, e non soltanto nel limite di un terzo”.

E non è opponibile l’articolo 68 della normativa processuale tributaria, “il quale prevede la riscossione frazionata del tributo solo per le somme determinate a seguito di una sentenza tributaria di merito”. Anche per i giudici di legittimità, qualora l’accertamento tributario non sia ancora divenuto definitivo, non può essere applicato il principio della riscossione frazionata del tributo prevista per i tributi erariali dall’articolo 15 del dpr 602/1973. Il comune può riscuotere totalmente l’Ici, l’Imu, la Tasi e gli altri tributi locali, poiché il titolo derivante dall’atto di accertamento è esecutivo per l’intero ammontare.

Altra possibilità offerta ai ricorrenti è quella di richiedere, se esistono i presupposti (fumus boni iuris e periculum in mora), al giudice la sospensione degli atti impositivi. L’articolo 68 dispone la provvisoria esecuzione delle sentenze delle commissioni tributarie, graduando la riscossione dell’imposta in relazione al grado di giudizio e all’esito della controversia. 

Questa disposizione, in realtà, genera dei dubbi interpretativi, poiché fa esclusivo riferimento alle leggi d’imposta che prevedono la riscossione frazionata del tributo in pendenza del giudizio. Mentre per i tributi locali siamo di fronte a una totale esecutività ex lege dell’atto impositivo, che obbliga il contribuente a un esborso immediato durante il giudizio di primo grado.

7 febbraio 2018

ANCORA LUNGA LA STRADA SULLA LIBERALIZZAZIONE DEL SERVIZIO DI POSTE PRIVATE

La Corte di Cassazione intervenuta con la sentenza n. 2173/2018 conferma l'illegittimità della notifica di un atto di accertamento con poste private. Nella stessa, i giudici hanno ritenuto che nell'ipotesi di notificazione dell'atto tramite un'agenzia privata, con una modalità non contemplata dall'ordinamento, si concretizza l'inesistenza giuridica della notifica, neanche sanabile con la proposizione del ricorso.

La Corte, pur riconoscendo il processo di liberalizzazione avviato dalla legge 124/2017 con la quale si è disposta, a decorrere dal 10 settembre 2017, la soppressione dell'attribuzione in esclusiva a Poste Italiane, quale fornitore del servizio postale universale, dei servizi di notificazione degli atti giudiziari e delle violazioni del codice della strada,  non può non dare importanza e rilevanza alla prescrizione del rilascio di una licenza individuale che è subordinato alla sussistenza di specifici obblighi con riferimento alla sicurezza, alla qualità, alla continuità, alla disponibilità e all'esecuzione dei servizi di notificazione.

Gli specifici requisiti e obblighi per il rilascio delle licenze individuali, compresi quelli relativi all'affidabilità, alla professionalità e all'onorabilità di coloro che richiedono la licenza individuale, devono essere determinati dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la quale a oggi non ha ancora provveduto.

Ed è per questo che ad avviso della Corte, fin quando non saranno rilasciate le nuove licenze individuali relative allo svolgimento dei servizi di notificazione, si dovranno continuare ad applicare le disposizioni che riservano le notificazioni a Poste Italiane.

La Corte, quindi, da un lato, conferma l'orientamento di legittimità che ritiene legittima la notificazione con raccomandata con avviso di ricevimento al servizio postale universale, con la conseguenza che la notificazione avvenuta con le agenzie private si deve ritenere inesistente, e, dall'altro lato, assume un'interpretazione restrittiva, che aveva fatto salva la notificazione a mezzo delle agenzie private nei confronti del ministero delle Finanze e dei Comuni, per i quali è prevista la possibilità di consegna diretta dell'atto all'impiegato addetto alla ricezione, equiparando la notifica a mezzo posta privata alla consegna diretta, con l'ulteriore precisazione che in questa ipotesi la notifica comunque si intende eseguita non nel momento della spedizione, ma nel momento della ricezione. 

Secondo l'orientamento della Corte dunque, "In tema di contenzioso tributario, la notifica a mezzo posta del ricorso introduttivo del giudizio tributario effettuata mediante un servizio gestito da un licenziatario privato deve ritenersi inesistente, e come tale non suscettibile di sanatoria, atteso che l'art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 261 del 1999, che ha liberalizzato i servizi postali, stabilisce che per esigenze di ordine pubblico sono comunque affidati in via esclusiva alle Poste Italiane s.p.a. le notificazioni a mezzo posta degli atti giudiziari di cui alla I. n. 890 del 1982, tra cui vanno annoverate quelle degli atti tributari sostanziali e processuali"

Concludendo quindi, si può ritenere che, fino a quando non saranno rilasciate le nuove licenze individuali relative allo svolgimento dei servizi già oggetto di riserva sulla base delle regole da predisporsi da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) ai sensi della succitata norma, debba trovare ancora conferma l'orientamento sinora espresso in materia dalla giurisprudenza maggioritaria.

LA TOSAP E' DOVUTA ANCHE PER L'OCCUPAZIONE DEI CASSONETTI

La Corte di Cassazione, Sezione VI, con l’ordinanza n. 2312 del 30 gennaio 2018, si è pronunciata in tema di esenzione o meno dall’applicazione della Tosap per le occupazioni realizzate con i cassonetti per la raccolta dei rifiuti. La Suprema Corte, conformandosi all’orientamento, ribadisce la debenza del tributo, in quanto non vi sono i requisiti previsi per l’esenzione, di cui all’articolo 49 del d.lgs. n. 507/1993.

Pertanto si riconosce la società, gestore del servizio di raccolta dei rifiuti, “soggetto passivo d'imposta, in quanto proprietaria dei cassonetti, disattendendone la tesi dell'inapplicabilità della TOSAP sulle aree occupate dai cassonetti per la raccolta della spazzatura, in ragione del fatto che la loro sottrazione all'uso collettivo non discende dalla collocazione in loco dei cassonetti in questione, ma dalla specifica destinazione, impressa dal Comune di Longiano, di tali spazi ad aree di raccolta dei rifiuti.”

Dunque, la legittimità della decisione impugnata, ha inteso il concetto di occupazione quale presupposto del tributo in esame in senso oggettivo, implicante il solo fatto della relazione materiale instaurata con la cosa, prescindendo, quindi, oltre che dal contenuto, dal titolo stesso che eventualmente ne disciplini l'utilizzazione.

Altresì, è opportuno analizzare come, la decisione della Suprema Corte, muova dal presupposto impositivo di tale tributo, che ricordiamo essere, ai sensi degli artt. 38 e 39 del Dlgs. n. 507/93, dalle occupazioni, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti e sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni e delle Province, mentre sono irrilevanti gli atti di concessione o di autorizzazione relativi all’occupazione, atteso che la tassa colpisce anche le occupazioni senza titolo. Infatti, in forza dell’art. 38, commi 1 e 2, del Dlgs. n. 507/93, sono soggette alla Tassa “le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province (comma 1); sono parimenti soggette alla Tassa … le occupazioni sottostanti il suolo medesimo, comprese quelle poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa” (comma 2).

Già con sentenza 22490/2017, a settembre 2017, la Cassazione aveva stabilito lo stesso principio per il quale, accogliendo il ricorso della società incaricata di recuperare la Tosap di quattro comuni del Pavese nei confronti della società appaltatrice della raccolta, i giudici di legittimità, disponevano che le disposizioni di legge (articoli 38 e 39 del dlgs 507/93) coprono qualunque tipo di occupazione delle strade e degli altri beni demaniali, per paradosso anche quello «di fatto e abusivo». Peraltro, l’attività non è svolta direttamente dal Comune «ma è conseguente all’esecuzione di un appalto».

In conclusione, l’occupazione di suolo pubblico con i cassonetti da parte dell’azienda che svolge in appalto il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani è soggetta alla TOSAP, non potendo godere della esenzione prevista nel decr. legisl. n. 507/1993, art. 49,comma 1, lettera a) (esenzione per gli enti territoriali) e lettera e) (occupazione di suolo pubblico con impianti dei quali è prevista la devoluzione gratuita in favore del Comune al termine della concessione). 

1 febbraio 2018

LA GRANDE SCONFITTA DI EQUITALIA

E’ stata depositata giovedì 1 febbraio 2018 la sentenza della Corte dei Conti centrale di appello, che ha condannato Equitalia a pagare ad un comune Laziale l'importo di euro 9.793.475,63 oltre interessi legali, è stata pertanto confermata la tesi del professor Michetti, difensore del comune, per la quale, gli Enti Locali possono agire direttamente contro Equitalia grazie ad un Regio Decreto del 1933.

La vicenda ha origine nel 2008, quando, il Comune, stipulava un'apposita convenzione con Equitalia affidando a quest'ultima la gestione del servizio di riscossione coattiva dei tributi, delle multe, delle contribuzioni per le mense scolastiche nonché del servizio idrico affidando ad Equitalia la riscossione di oltre 31 milioni di euro. Convenzione in uso in vari enti locali con le medesime modalità.
L’Ente locale, vista la scarsa corrispondenza e la ridotta trasparenza che il concessionario aveva adottato si era visto più volte promotore di segnalazione alla stessa Equitalia, sollecitando informazioni e chiarimenti, rimasti per lo più inevasi. La doglianza che il comune lamentava con maggior veemenza era rintracciabile proprio nella mancata partecipazione di documenti che giustificassero le quote dichiarate inesigibili.

Così, a seguito di un’analisi della situazione in essere venne a rilevarsi un un’mancato versamento nelle casse comunali di euro 12.091.283,46, aggravando la Corte dei Conti, in sede regionale di controllo, chiedeva al Comune chiarimenti in ordine alla gestione dei residui riferiti proprio ai ruoli affidati alla Concessionaria.

E’ da qui che ha impulso l’azione giuridica nei confronti di Equitalia, la quale, si sarebbe dovuta convertire in un’azione di "responsabilità patrimoniale" intestata al Procuratore regionale della Corte dei Conti ed i Comuni, quindi si doveva attendere che la Procura aggredisse il Concessionario.
Tale attesa avrebbe comunque posto l'Ente Locale in una situazione di inadempienza o conclamata inerzia dinanzi ad evidenti comportamenti che, se non censurati, avrebbero continuato non soltanto ad arrecare un danno alle casse comunali, ma ad incrementarlo giorno dopo giorno.
Il Prof. Enrico Michetti, avvocato del Comune, ha ritenuto che in base ad un Regio Decreto del 1933 n. 1038 si potesse agire direttamente innanzi alla Corte dei Conti. Tale tesi veniva accolta in primo grado dalla Corte dei Conti Sezione giurisdizionale del Lazio che, con la sentenza del 6 maggio 2015 n. 255 che condannava Equitalia Sud S.p.A. al pagamento in favore dell'Ente Locale di euro 12.091.283,46 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sollecitando, al contempo la Procura a valutare ulteriori ipotesi di sussistenza di danni da disservizio, concretizzatesi a carico della popolazione del Comune.

La sentenza, impugnata da Equitalia innanzi alla Corte dei Conti Centrale d'appello, con sentenza del 1 febbraio 2018 ha confermato la "piena legittimazione ad agire del Comune, che ha convenuto in giudizio, dinanzi alla sezione territoriale della Corte dei conti, la Equitalia Sud spa lamentando inadempienze contrattuali relative alle mancate riscossioni frutto della mancata formazione dei ruoli e del maturare degli effetti prescrittivi" rideterminando l'importo in euro 9.793.475,63.

Pertanto, oggi, la Corte ha fatto giurisprudenza, creando un precedente importante che sarà usato da tutti gli enti locali che hanno subìto e continuano a subire le stesse modalità di comportamento nella riscossione dei tributi. 
 
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