Ancora incertezze
e criticità sull’applicazione della parte variabile della Tari, le questioni
sollevate nei giorni scorsi non accennano a diminuire e producono invero un
nuovo quesito. Oggetto è l’ulteriore effetto che poteva rischiare di produrre
la soluzione della quota variabile unica, nel caso in cui una stessa famiglia
possieda nel Comune due abitazioni di cui una non locata. Il Ministero ha chiarito,
per bocca del sottosegretario ai Rapporti col Parlamento Sesa Amici, che ad
ogni utenza corrisponde una autonoma obbligazione tributaria. La quota
variabile dovendo essere calcolata per ciascuna utenza, va considerata tante
volte quante sono le utenze possedute dalla famiglia. Pertanto, costituiscono
presunzione semplice dell’occupazione o conduzione dell’immobile e della
conseguente attitudine alla produzione di rifiuti anche la sola presenza di
arredo oppure l’attivazione anche di uno solo dei pubblici servizi di
erogazione idrica, elettrica, di calore, di gas, telefonica o informatica.
Ulteriore
precisazione viene data sul numero degli occupanti, ai fini del computo della
quota variabile del secondo immobile. Sulla scorta della sentenza della Corte
di Cassazione n. 8383 del 5 aprile 2013, in caso di abitazioni per le quali non
è quindi possibile stabilire il numero dei componenti, il comune può stabilire, nell’ambito della
propria potestà regolamentare, un criterio presuntivo circa il numero degli
occupanti, in alternativa a quello dettato dal riferimento alla residenza.
Arduo
quesito con cui il sottosegretario si è dovuto confrontare è sulla modalità di
reperimento delle risorse finanziarie per far fronte ai rimborsi, nel caso in
cui la duplicazione delle quote variabili non abbia comportato un aumentato di
gettito rispetto al piano finanziario.
Le modalità con cui i singoli comuni procedono alla copertura delle
somme rimborsate ai contribuenti rientrano nella sfera di autonomia degli stessi, così come la possibilità di
intervenire in autotutela. Tuttavia, la possibilità di riportare nel nuovo PEF
lo scostamento di gettito è operazione ammessa solo in caso di riduzione della
superficie e di eventi imprevedibili. Il caso di specie, che riguarda lo
scostamento tra gettito preventivato e quello che il
Comune
conseguirebbe in esito ai rimborsi, data l’invarianza
dei costi, non rientrerebbe tra le ipotesi indicate. Questo quanto ribadito
dalla stessa analizzando le linee guida normative della Tares, tributo per il
quale vengono adottate le medesime regolamentazioni.
La soluzione
appare una “non soluzione”, gli enti locali si trovano dunque nella piena
autonomia ma contestualmente questa stessa è limitata. Il Pef appare l’unico
strumento atto a gestire tale situazione e nello stesso momento l’unico ad
essere escluso dall’autonomia di scelta dei comuni.
Vero è che la
circolare ministeriale non fa mai riferimento al ricalcolo delle tariffe, anche perché si coinvolgerebbero così
tutte le utenze domestiche con rideterminazione degli importi dovuti anche per
quelle utenze al momento non interessate alla questione, ma che in realtà hanno
versato una quota minore rispetto alla quota variabile rideterminata. La stessa
circolare altresì invita al rimborso su richiesta e non a procedere
massivamente al rimborso d’ufficio e per onore del vero, nemmeno fa cenno alla
questione del ricalcolo. Dunque, ad oggi, a fronte di quanto analizzato appare
uno scenario ancora in forte evoluzione, dai contorni poco chiari e per nulla
definiti.