Con
l’espressione “fallimento” si indica lo stato patrimoniale dell’imprenditore
che non ha più la capacità obiettiva di far fronte alle obbligazioni aziendali.
Caratteri del fallimento sono dunque:
- la concorsualità: la procedura si svolge nell’interesse di tutti i creditori del fallito, i quali devono essere soddisfatti in egual misura, salvo il rispetto delle legittime cause di prelazione (par condicio creditorum).
L'istituto
del “fallimento” è regolato dal r.d. n. 267 del 16/03/1942 (Legge
Fallimentare), disciplina che ha subito profonde modifiche per adeguarla al
diritto nazionale e comunitario, in un'ottica tesa a garantire (nei limiti del
possibile) la conservazione dell'impresa come complesso produttivo.
Nel rispetto
di questi principi ispiratori, il disegno di legge di riforma, approvato in
Senato l'11 ottobre 2017, delega il Governo ad adottare uno o più decreti per
riformare organicamente la disciplina delle procedure concorsuali, della
normativa sulla composizione della crisi e da sovraindebitamento. Tra i
principi ispiratori più importanti del disegno di legge quello indicato nel punto
b) art. 1 prevede la sostituzione del termine “fallimento” con “liquidazione giudiziale.” Il Governo dovrà
altresì eliminare dalla disciplina dell'amministrazione straordinaria delle
grandi imprese in crisi, la
dichiarazione di fallimento d'ufficio (art. 3, comma 1, d.lgs. n.
270/1999).
Percorrendo
la storia normativa di tale disciplina troviamo, la riforma del diritto
fallimentare avvenuta con d.lgs. n.
5/2006; le novità apportate dal d.l.
n. 83/2012 (convertito con legge n.
134/2012) relative al nuovo istituto del preconcordato; quelle del decreto n. 179/2012 (convertito con legge n. 221/2012); le modifiche della legge di stabilità n. 228/2012; la
riforma dell'art. 161 nell'ambito del concordato preventivo, da parte del d.l. n. 69/2013 (c.d. decreto del
fare), convertito con modificazioni dalla l. n. 98/2013; le innovazioni del d.lgs.
16/11/2015 n. 180; quelle del d.l.
3/05/2016 n. 59 e quelle apportate dalla legge n. 232 del 11/12/2016, in vigore dal 01 gennaio 2017, che
offre la possibilità di proporre il pagamento parziale o rateale di crediti
tributari, contributivi e Iva, in sede di concordato preventivo o di accordo di
ristrutturazione dei debiti.
Secondo il
primo comma dell'art. 9 L.F., il fallimento è dichiarato dal tribunale del
luogo in cui l'imprenditore ha la sede principale dell'impresa. Secondo l'art.
16 del r.d. n. 267/1942, modificato dalla novella del 2006, il tribunale
dichiara il fallimento con sentenza,
con la quale vengono nominati il giudice
delegato per la procedura e il
curatore e viene ordinato al fallito il deposito dei bilanci, delle scritture
contabili e fiscali obbligatorie nonché l'elenco dei creditori entro 3 giorni. La sentenza fissa inoltre il
luogo, il giorno e l'ora dell'adunanza in cui si procederà all'esame dello stato passivo (entro il termine perentorio di 120
giorni) e assegna ai creditori e dei
terzi, che vantano diritti reali o personali sui beni del fallito il termine
(entro 30 giorni prima dell'adunanza dei creditori) per proporre domanda di insinuazione al passivo in cancelleria. Tale
domanda sarà poi valutata dal Tribunale insieme al curatore onde stabilire se
le somme sono effettivamente dovute. Per presentare l’istanza di insinuazione
al passivo e partecipare all’udienza non serve necessariamente l’avvocato.
Ciascun creditore può adoperarsi autonomamente. Il fallimento del contribuente
determina per l’ente locale, gli effetti comuni a tutti i creditori
concorsuali, tra i quali: il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive collettive
(art. 51 l.fall.), il concorso sul patrimonio del fallito (art.52) e la
necessità di proporre domanda per l’ammissione al passivo come descritto per ottenere
la qualifica di creditore concorsuale. Così, come per qualsiasi altro creditore
concorsuale, la Pubblica Amministrazione ha l’onere di presentare tale domanda
entro i termini e secondo le modalità previste dall’artt. 93 e ss della legge
fallimentare. Se tali adempimento non verranno posti in essere non si avrà più alcun
titolo per concorrere al riparto dell’attivo. La domanda deve contenere:
– una
apposita richiesta di essere ammessi al passivo;
– i
documenti che provano l’esistenza del credito (per es.: avvisi di accertamento,
ingiunzioni ecc.);
La domanda
deve essere inviata, come file allegato
scansionato in pdf, esclusivamente sulla PEC (posta elettronica certificata) del curatore. Insieme alla domanda “scannerizzata” devono essere
anche allegati i documenti che provano il credito. Nella domanda deve essere
indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata sul quale ricevere tutte
le comunicazioni. Le domande depositate o inviate a mezzo posta normale alla
cancelleria non vengono esaminate, così come le domande inviate al curatore in
formato cartaceo o in modalità difformi da quanto descritto.
Elemento
caratterizzante la pretesa tributaria nell’insinuazione al passivo è quello per
cui, al giudice fallimentare viene preclusa la possibilità di valutazione della
stessa, essendo essa esclusivamente devoluta per espressa previsione dell’art.
2 del Dlgs 546/1992 alle giurisdizioni tributarie.
In
conclusione la procedura di insinuazione al passivo per la riscossione di un
credito verso un contribuente dichiarato in liquidazione giudiziale è l’unica
strada percorribile per vedersi garantito il proprio credito e poterlo rivendicare
in sede di spartizione dell’attivo. In tutti gli atri casi la pretesa
tributaria decade e il nostro credito perderà di esigibilità