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7 agosto 2017

CHI INQUINA PAGA: TARSU E SUPERFICIE TASSABILE, LA UE NE CONFERMA LA LEGITTIMITÀ

La Tarsu utilizza un metodo di calcolo basato sulla superficie degli immobili, il decreto legislativo 507 del 15 novembre 1993, ha previsto, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. L'applicazione di questa tassa è delegata dallo Stato centrale, alle istituzioni comunali presenti nel territorio nazionale. Essa segue il costo complessivo del servizio di raccolta, con incorporato il relativo smaltimento del pattume, prendendo come criterio di riferimento la superficie di qualsiasi locale adibito ad uso abitativo o commerciale, che generano rifiuti o comunque suscettibili alla produzione degli stessi.

La superficie catastale ai fini tarsu non è altro che una superficie fittizia, determinata secondo precisi parametri dettati dal dpr del 23 Marzo 1998 n° 138. Il suo calcolo non è semplicissimo in quanto vengono presi in considerazione determinati fattori. Dico che si tratta di una superficie fittizia in quanto non è la superficie catastale che viene riportata in visura e nemmeno la superficie dei poligoni omogenei “docfa”. Per il calcolo dell’80% della superficie catastale ai fini tarsu i Comuni debbono scaricare i dati dal “Portale dei Comuni” denominati “Dati per TARSU” che contengono la suddivisione in poligoni omogenei dell’unità immobiliare.

Tanto è stato detto su tale metodo di calcolo, questioni giurisprudenziali e innumerevoli interventi del legislatore che hanno però sempre confermato e ribadito la piena legittimità di tale procedimento. Il metodo di calcolo della Tarsu basato sulla superficie degli immobili è stato inoltre dichiarato conforme al principio comunitario “chi inquina paga” in quanto, pur essendo un metodo presuntivo, è ammessa comunque la possibilità, per il contribuente, di fornire la prova contraria. Questo è quanto emerge dall'ordinanza della Corte di Cassazione n. 17498/2017, in cui si evidenzia, in particolare, che il criterio di calcolo adottato per la Tarsu non è di per sé contrario ai principi comunitari in quanto l'unico limite posto dalla normativa europea alla discrezionalità delle autorità nazionali è il divieto di regimi d'imposizione che si fondano su presunzioni legali che non ammettono prova contraria.

Difatti, l’oggetto delle dispute intorno a tale materia appare esse
re sempre il metodo di calcolo utilizzato per la determinazione delle tariffe, ma punto focale rimane quello per cui la disciplina contenuta nel Dlgs 15 novembre 1993 n. 507 non contrasta con il principio comunitario “chi inquina paga”, sia perché consente la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie degli immobili posseduti, sia perché, pur facendo applicazione di regimi presuntivi, consente ampia prova contraria. Tale orientamento ritiene risolutive, ai fini di una valutazione circa la conformità della disciplina nazionale ai principi eurounitari, due sentenze della Corte di Giustizia europea secondo cui, poiché molto spesso risulta difficile e persino oneroso determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore, ricorrere a criteri basati sulla capacità produttiva dei detentori, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano, nonché della loro destinazione e/o sulla natura dei rifiuti prodotti, può consentire di calcolare i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari detentori. Per cui, sotto tale aspetto, la normativa nazionale che prevede una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo effettivamente prodotto, non può essere considerata in contrasto con la direttiva europea.


Pertanto il metodo di calcolo basato sulla superficie dell'immobile posseduto non è, di per sé, contrario al principio “chi inquina paga”. Il limite posto dalla Corte di Giustizia alla discrezionalità delle autorità nazionali, largamente applicato dalla giurisprudenza comunitaria in materia fiscale, è quello secondo cui non sono ammessi regimi d'imposizione i cui fatti costitutivi si fondano su presunzioni legali che non ammettono prova contraria. Secondo la Suprema Corte, le autorità nazionali dispongono di un'ampia discrezionalità nella differenziazione delle tariffe tra categorie di detentori, purché non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili.
 
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