La Tarsu utilizza un metodo di calcolo basato sulla
superficie degli immobili, il decreto legislativo 507 del 15 novembre 1993, ha
previsto, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. L'applicazione
di questa tassa è delegata dallo Stato centrale, alle istituzioni comunali
presenti nel territorio nazionale. Essa segue il costo complessivo del servizio
di raccolta, con incorporato il relativo smaltimento del pattume, prendendo
come criterio di riferimento la superficie di qualsiasi locale adibito ad uso
abitativo o commerciale, che generano rifiuti o comunque suscettibili alla
produzione degli stessi.
La superficie catastale ai fini tarsu non è altro che una
superficie fittizia, determinata secondo precisi parametri dettati dal dpr del
23 Marzo 1998 n° 138. Il suo calcolo non è semplicissimo in quanto vengono
presi in considerazione determinati fattori. Dico che si tratta di una
superficie fittizia in quanto non è la superficie catastale che viene riportata
in visura e nemmeno la superficie dei poligoni omogenei “docfa”. Per il calcolo
dell’80% della superficie catastale ai fini tarsu i Comuni debbono scaricare i
dati dal “Portale dei Comuni” denominati “Dati per TARSU” che contengono la
suddivisione in poligoni omogenei dell’unità immobiliare.
Tanto è stato detto su tale metodo di calcolo, questioni
giurisprudenziali e innumerevoli interventi del legislatore che hanno però
sempre confermato e ribadito la piena legittimità di tale procedimento. Il
metodo di calcolo della Tarsu basato sulla superficie degli immobili è stato inoltre
dichiarato conforme al principio comunitario “chi inquina paga” in quanto, pur
essendo un metodo presuntivo, è ammessa comunque la possibilità, per il
contribuente, di fornire la prova contraria. Questo è quanto emerge dall'ordinanza
della Corte di Cassazione n. 17498/2017, in cui si evidenzia, in particolare,
che il criterio di calcolo adottato per la Tarsu non è di per sé contrario ai
principi comunitari in quanto l'unico limite posto dalla normativa europea alla
discrezionalità delle autorità nazionali è il divieto di regimi d'imposizione
che si fondano su presunzioni legali che non ammettono prova contraria.
Difatti, l’oggetto delle dispute intorno a tale materia
appare esse
re sempre il metodo di calcolo utilizzato per la determinazione
delle tariffe, ma punto focale rimane quello per cui la disciplina contenuta
nel Dlgs 15 novembre 1993 n. 507 non contrasta con il principio comunitario “chi
inquina paga”, sia perché consente la quantificazione del costo di smaltimento
sulla base della superficie degli immobili posseduti, sia perché, pur facendo
applicazione di regimi presuntivi, consente ampia prova contraria. Tale
orientamento ritiene risolutive, ai fini di una valutazione circa la conformità
della disciplina nazionale ai principi eurounitari, due sentenze della Corte di
Giustizia europea secondo cui, poiché molto spesso risulta difficile e persino
oneroso determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore,
ricorrere a criteri basati sulla capacità produttiva dei detentori, calcolata
in funzione della superficie dei beni immobili che occupano, nonché della loro
destinazione e/o sulla natura dei rifiuti prodotti, può consentire di calcolare
i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari detentori. Per cui, sotto
tale aspetto, la normativa nazionale che prevede una tassa calcolata in base ad
una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo
effettivamente prodotto, non può essere considerata in contrasto con la
direttiva europea.
Pertanto il metodo di calcolo basato sulla superficie
dell'immobile posseduto non è, di per sé, contrario al principio “chi inquina
paga”. Il limite posto dalla Corte di Giustizia alla discrezionalità delle
autorità nazionali, largamente applicato dalla giurisprudenza comunitaria in
materia fiscale, è quello secondo cui non sono ammessi regimi d'imposizione i
cui fatti costitutivi si fondano su presunzioni legali che non ammettono prova
contraria. Secondo la Suprema Corte, le autorità nazionali dispongono di
un'ampia discrezionalità nella differenziazione delle tariffe tra categorie di
detentori, purché non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non
commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili.