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21 marzo 2017

LA NOTIFICA DEGLI ATTI TRIBUTARI TRA GIURISPRUDENZA E PRASSI

La sezione tributaria della Cassazione con la sentenza n. 3595 ha chiarito che è illegittima la notifica degli atti al portiere dello stabile in cui risiede il contribuente se l’ufficiale giudiziario non dà atto nella relata, oltre che dell’assenza del destinatario, che non è stato possibile consegnare il provvedimento impositivo (cartella, accertamento) a persona di famiglia, addetto alla casa o alla sede. Sebbene non sia imposto l’utilizzo di forme sacramentali, è necessario specificare nella relata di notifica che erano assenti sia il destinatario sia gli altri soggetti abilitati a ricevere l’atto secondo la successione preferenziale tassativamente stabilita dalla norma di legge. Possiamo certamente concludere che nel procedimento di notifica, la forma è sostanza. Per i giudici di legittimità, l’articolo 139 del codice di procedura civile, laddove indica i soggetti abilitati a ricevere l’atto in caso di momentanea assenza del destinatario va interpretato nel senso che la scelta non è demandata all'intermediario della notifica. Deve, invece, essere rispettato l’ordine preferenziale delle persone alle quali l’atto può essere consegnato e va dato atto dell’assenza del destinatario. Solo in caso di assenza anche di una persona di famiglia o di un addetto alla casa o alla sede che risulti espressamente dalla relata, poi, l’atto può essere consegnato al portiere dello stabile o, in ultima istanza, al vicino di casa.

Ricordiamo brevemente che la disciplina della notifica degli atti tributari è contenuta negli articoli 60 e seguenti del dpr 600/1973. L’articolo 60 stabilisce che la notifica debba essere eseguita, anche dai messi comunali, nel luogo di domicilio fiscale del destinatario, salva l’ipotesi di elezione di domicilio. In questo caso l’elezione deve risultare da un atto comunicato all’ufficio tributario. L’elezione di domicilio ha effetto dal trentesimo giorno successivo a quello della data del loro ricevimento da parte dell’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate. Anche il contribuente residente all’estero può indicare un indirizzo estero per le notifiche, purché non ne abbia già indicato uno in Italia o non abbia nominato un rappresentante fiscale nel nostro paese. Queste disposizioni si applicano anche per la notifica degli atti di accertamento e riscossione emanati dagli enti locali. L’articolo 60, inoltre, prevede che per le notifiche debbano essere osservati gli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile. Quindi, come sostenuto dalla Cassazione, va rispettato anche l’ordine preferenziale per la consegna dell’atto ai soggetti abilitati a riceverli in caso di assenza del destinatario ex articolo 139 c.p.c.. Per il perfezionamento della notificazione stessa è sufficiente che l’atto sia entrato nella disponibilità del destinatario. È richiesto che siano state compiute dal soggetto autore della notificazione tutte le formalità previste dalla legge e non che il destinatario abbia avuto effettiva conoscenza dell’atto. Al destinatario della notificazione deve essere garantito il suo fondamentale diritto di difesa, ponendolo in condizione di conoscere, con l’ordinaria diligenza, il contenuto dell’atto.

Contestualmente, è importante esaminare una fattispecie rilevante a cui la giurisprudenza ha riservato grande attenzione. Non possiamo esimerci dunque dall'analisi del perfezionamento della notifica, dovendo appurare che viaggia su un doppio binario. Difatti il momento in cui la notifica si deve considerare perfezionata per il notificante, deve distinguersi da quello in cui essa si perfeziona per il destinatario, che è esclusivamente quello della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario. Principio questa stabilito dalla stessa Suprema Corte con sentenza n. 4993 del 4 Marzo 2014. In particolare, il fondamento della scissione fra i due momenti di perfezionamento della notificazione si rinviene nell'articolo 149, codice procedura civile, per effetto della sentenza n. 477 del 2002, della Corte Costituzionale - e nell'articolo 142, anche in combinato disposto con il terzo comma dell'articolo 143, per effetto della sentenza n. 69 del 1994, sempre emessa dalla Corte Costituzionale.

Nel dettaglio, la disciplina delle notifiche a mezzo del servizio postale è contenuta nella legge 20 novembre 1982 n. 890. All’art. 4, comma 3, questa dispone che “… l’avviso di ricevimento” del piego raccomandato contente l’atto da notificare “costituisce prova dell’eseguita notificazione”. Secondo il combinato disposto delle suddette norme, quando la notifica degli atti giudiziari è effettuata tramite il servizio postale, essa si intende eseguita alla data in cui l’atto è ricevuto dal destinatario.

L’identificazione del momento in cui il procedimento di notifica si perfeziona con quello nel quale l’atto è fatto ricevere al destinatario determina che, quando una norma fa discendere conseguenze sfavorevoli in capo ad un soggetto se questi non fa notificare un atto entro un termine prefissato, tali conseguenze si producono anche se il soggetto abbia consegnato per tempo l’atto all’organo notificatore ma questi, per fatti non imputabili al richiedente, lo faccia ricevere al destinatario oltre il termine prescritto. Con la sentenza 26 novembre 2002 n.477, la Corte Costituzionale ha inteso porre rimedio alle gravi ed inique conseguenze prodotte dal suddetto sistema di norme ai danni del notificante, dichiarando l’art.149 c.p.c. e l’art. 4 comma 3 L.890/82 costituzionalmente illegittime – per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. – nella parte in cui non prevedono che la notifica degli atti da effettuarsi a mezzo del servizio postale si perfezioni, per il richiedente, non già alla data in cui l’atto è fatto ricevere al destinatario dall’organo incaricato, ma a quella, anteriore, in cui il richiedente abbia consegnato l’atto ad esso organo. Resta comunque fermo che la mera consegna tempestiva all’organo notificatore dell’atto non vale a far ritenere questo notificato fin quando il procedimento di notifica non si compia, ossia l’atto non sia stato fatto ricevere al suo destinatario.

Tutti gli effetti giuridici che la legge fa dipendere dalla notifica dell’atto si produrranno comunque con riferimento alla data in cui l’atto deve considerarsi entrato nella sfera di conoscibilità del suo destinatario, sicché costui non riceve comunque alcun documento dall’avvenuta notifica oltre il termine entro cui andava fatta. La regola elaborata dalla Corte, dunque, mira esclusivamente a tenere il notificante indenne dalle negative e spesso irreversibili conseguenze dovute a possibili ritardi imputabili all’organo che deve procedere alla notifica o, comunque, a terzi.

A tal proposito ci sentiamo costretti a menzionare un ulteriore sentenza della Corte Suprema sez. tributaria n. 12051 del 6 marzo 2008 (dep. il 14 maggio 2008), con la quale viene adito un principio cardine, la notificazione dell’avviso di accertamento tributario affetta da nullità rimane sanata, con effetto “ex tunc”, dalla tempestiva proposizione del ricorso del contribuente avverso tale avviso, atteso che, da un lato, l’avviso di accertamento ha natura di “provocatio ad opponendum”, la cui notificazione è preordinata all’impugnazione, e, dall’altro, l’art. 60, primo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 richiama espressamente le “norme stabilite dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile”, così rendendo applicabile l’art. 160 del codice medesimo, il quale, attraverso il rinvio al precedente art. 156, prevede appunto che la nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto il suo scopo. In altri termini, la Corte di cassazione, ha ribadito che l’avviso di accertamento ha natura di “provocatio ad opponendum” e che alla notificazione dell’accertamento, che e’ preordinata all’impugnazione, è applicabile l’articolo 156 del cpc, e pertanto la tempestiva proposizione del ricorso avverso gli avvisi di accertamento significa che è stato raggiunto lo scopo della notificazione.

20 marzo 2017

RATE TRIBUTI LOCALI E RISCHIO DECADENZA

Sempre più contribuenti rintracciano nella rateizzazione la migliore modalità di pagamento e assolvimento del debito che hanno maturato con l’Ente nel nostro caso. E’ così che la maggior parte degli atti emessi dagli Uffici finanziari viene riscontrato con una richiesta di rateizzazione da parte del contribuente, alla quale l’Ufficio risponde in ottemperanza al regolamento delle entrate specifico dell’Ente.

Il Regolamento è adottato nell’ambito della potestà regolamentare attribuita dalla legge e disciplina le varie attività che il contribuente e l’Ente impositore sono tenuti a compiere ai fini dell’applicazione dei tributi di competenza del Comune, con particolare riguardo alle attività di accertamento, anche istruttorio, e alla riscossione dei tributi medesimi. Le norme del Regolamento sono finalizzate a garantire il buon andamento dell’attività del Comune quale soggetto attivo del tributo, in osservanza dei principi di equità, efficacia, economicità e trasparenza, nonché a stabilire un corretto rapporto di collaborazione con il contribuente fornendogli adeguata informazione sugli adempimenti relativi a tributi locali e sulle norme di salvaguardia a suo favore, nell'osservanza dei principi dettati dallo “Statuto del contribuente” (Legge 212 del 27 luglio 2000).

E’ dunque in questa sede che vengono espresse le modalità che possono essere adottate per la definizione dell’eventuale rateizzazione. Numero di rate possibili, scadenze, limiti e portata generale.
Prima di analizzare la fattispecie nel dettaglio ricordiamo solo brevemente che l’impulso all’attività di riscossione viene data dall’atto di accertamento emesso dall’ufficio in mancanza di un corretto pagamento da parte del contribuente. E’ pertanto questo il titolo con il quale si perfeziona l’atto e lo si notifica all’intestatario. Decorsi 60 giorni, dalla notifica del suddetto, senza che a questo sia stata apportata modifica alcuna o annullamento, la pretesa tributaria avanzata dall’Ente diviene definitiva, dunque riscuotibile coattivamente. Tale potere è però limitato nel tempo, in quanto gli adempimenti necessari a porre in essere tale procedura devono essere messi in atto entro e non oltre il 31 Dicembre del terzo anno successivo alla definizione. In caso contrario decade l’Ufficio dal diritto di riscuotere il titolo.

Il contribuente a questo punto se riconoscesse legittima la pretesa tributaria richiesta dall’ufficio può fare richiesta di pagamento rateizzato. Dunque protocollare all’Ente una richiesta scritta che venga poi valutata e accordata dallo stesso in ordine ai criteri stabiliti dal regolamento comunale delle entrate, con il quale come asserito prima si disciplina tale materia.
Vediamo che all’Ente viene riconosciuto dal Legislatore un ampio potere regolamentare relativamente alla riscossione e dilazione di detti atti. Pertanto l’ufficio che a sua volta gode di autonomia del potere dilatorio non ha alcun tipo di limitazione nella redazione del regolamento e della contestuale attuazione di un piano di rateizzazione eventuale. Per ciò detto, a volte gli enti redigono regolamenti con dilazioni che potrebbero essere armi a doppio taglio. Questo perché nel voler agevolare il rientro del debito del contribuente, magari prevedendo delle scadenze a lungo termine con una rateizzazione superiore alle “classiche” 30 rate si rischia quello che potremmo definire un “fortunoso incidente” per il contribuente.

Difatti, tenendo a mente il principio tributario in base al quale, tutti gli adempimenti necessari per porre in riscossione coattiva un titolo devono essere posti in essere entro e non oltre il 31 Dicembre del terzo anno successivo alla definizione e che trascorso tale termine essendo questo perentorio decade il diritto dell’Ente stesso alla riscossione del credito. Se si ipotizza una rateizzazione che superi il detto termine, non sarà più possibile avviare la riscossione coattiva emettendo l’atto propedeutico e pretendere il pagamento del debito rimanente se il contribuente fosse stato inadempiente o avesse mancato il saldo di un congruo numero di rate, in tale circostanza l’ente si troverebbe in un corto circuito normativo.

Passato l’intervallo temporale succitato, l’ente non ha più la possibilità di remissione dell’atto, perde dunque la titolarità del credito essendo scaduto il termine entro il quale porre in essere gli adempimenti necessari a tale fine.  

Si evince da ciò che il contribuente si troverebbe in tali casi nella possibilità di non versare quanto dovuto senza incorrere in alcun tipo di sanzione e/o provvedimento integrativo.
L’Ufficio potrebbe incorrere invece in un grave danno erariale costituito dalla mancata attuazione di un corretto piano di ammortamento in quanto lo stesso ha messo l’ente nella condizione di danno e mancato rientro della somma a lui dovuta. 

10 marzo 2017

LA MANCATA RISCOSSIONE CONFIGURA SEMPRE PIU' IL DANNO ERARIALE

Come per l’illecito civile, le ipotesi di danno erariale sono atipiche e frutto di condotte a forma libera. Inoltre si assiste da anni alla progressiva dilatazione del concetto di bene e di patrimonio pubblico, fino a comprendere ogni interesse della comunità, purché affidato in cura ad un apparato pubblico ed economicamente valutabile. La Corte dei conti ha interpretato dunque estensivamente tale nozione, giungendo ad assumere nella sua portata applicativa la compromissione di interessi di carattere generale del corpo sociale o la lesione dell'interesse pubblico generale all'equilibrio economico e finanziario dello Stato e di interessi pubblici costituzionalmente protetti. Trattasi, secondo la Corte, di danni a beni che non appartengono al patrimonio dello Stato come entità superiore, ma a tutti i membri indifferenziati della collettività. Tale responsabilità si configura non solo a fronte di danni subiti direttamente dall'amministrazione ma anche quando il danno sia stato subito indirettamente dalla Pubblica Amministrazione. Esempio che catalizza la nostra attenzione relativamente a detta ipotesi è il danno connesso alla mancata riscossione delle entrate. È questa una delle più significative fattispecie di danno erariale, trattate dalle procure regionali nel 2016. 
La notizia arriva dal procuratore generale della Corte dei conti alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario 2017. A fronte di 1.507 citazioni in giudizio notificate nel corso del 2016, 128 si riferiscono a mancate riscossioni di entrate.
Si coglie da quanto detto che la riscossione delle entrate locali è un obbligo per l’Ente e non solo sotto il profilo del facere, ma anche nella modalità. Diventa dunque imperativo non solo “fare”, ma “fare bene”. La riscossione delle entrate deve quindi essere svolta con attenzione ed efficienza dalla fase di accertamento alla fase coattiva finale. Gli Enti devono incentrare le loro forze su questo adempimento necessario e spesso non diretto con la massima attenzione.
Non dimentichiamo che lo stesso Agente della Riscossione Equitalia che ha in questi anni supportato i Comuni nell'adempimento di tale compito si è reso più volte reo di inadempimenti contrattuali, non procedendo alla riscossione corretta di tutti i ruoli emessi e trasmessi dagli Enti.
Riconducibile a tale principio relativamente alla mala gestione della riscossione e la conseguente accusa di danno erariale richiamiamo all'attenzione una sentenza della Corte dei conti, sez. giur. Molise, n. 77, depositata il 17/11/2015. Nel caso di specie la procura contabile aveva richiesto il risarcimento del danno erariale arrecato all’ente in conseguenza dell’illegittimità ed irregolarità delle procedure adottate per la riscossione della Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (T.R.S.U.) e degli oneri per il consumo idrico, relativamente alla posizione di taluni contribuenti, nonché in conseguenza del mancato recupero di tributi evasi. Per tale danno sono stati chiamati a rispondere coloro che si erano succeduti nelle funzioni di Segretario comunale convenzionato, i quali, assolvendo contestualmente l’incarico di responsabile dei servizi dell’area amministrativa e contabile-finanziaria, avrebbero dovuto contestare i pagamenti tardivi, provvedendo ad emettere i solleciti di pagamento, i conseguenti avvisi di accertamento, con l’applicazione di sanzioni e interessi legali. Al riguardo, l’articolo 13 del d.lgs. 471/1997, prevede che “chiunque non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio e a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione (..), è soggetto alla sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato (..) la sanzione prevista al comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto”.
Il comune, pertanto, a fronte della mancata o ritardata evasione degli obblighi tributari, avrebbe dovuto applicare una sanzione pari al 30% dell’importo dovuto dai contribuenti per ciascuna annualità. Il responsabile dell’area finanziaria viene quindi condannato a risarcire il danno subito dall'ente, consistente nel mancato incameramento delle sanzioni e degli interessi moratori.
Anche esternalizzando la riscossione però talvolta si può incorrere in gravi inadempienze, è il caso dibattuto con la sentenza n. 255 del 2015 la Corte dei Conti Sezione giurisdizionale del Lazio, ha stabilito che ove venga accertato l’inadempimento contrattuale di Equitalia nella ipotesi di mancato incasso dei ruoli municipali, con conseguente produzione di danno erariale, la stessa va condannata al risarcimento dei danni al Comune.

Ecco allora che i giudici tornano a far valere il danno in capo a colui che avrebbe dovuto riscuotere, provocando al contrario un danno erariale nei confronti di tutta la collettività.

La giurisprudenza, le normative e la prassi sempre più adottata ribadiscono pertanto il concetto su espresso, la dilatazione del concetto di bene e di patrimonio pubblico purchè affidato in cura ad un apparato pubblico ed economicamente valutabile deve essere accuratamente sorvegliato ed efficientemente svolto per garantire il miglior risultato possibile.  

1 marzo 2017

IL RIACCERTAMENTO ANNUALE DEI RESIDUI NEL BILANCIO

La Ragioneria generale dello Stato ha fornito alle amministrazioni le istruzioni per la chiusura dell'esercizio 2016 in relazione ai residui perenti con la circolare n. 9/2017 del 24 febbraio. 
Il Dlgs 93/2016 in materia di riforma dei residui passivi, ha introdotto diverse novità rispetto al regime di accertamento e riaccertamento annuale dei residui passivi, abrogando alcune disposizioni del Rd 2440/1923, recante la legge di contabilità dello Stato, riguardanti soprattutto i termini di conservazione in bilancio e le modalità di eliminazione, le modalità di riaccertamento annuale delle partite iscritte nel conto del patrimonio (in quanto residui passivi perenti) e la maggiore flessibilità per la rimodulazione delle somme non impegnate a chiusura dell'esercizio sulle autorizzazioni di spesa pluriennale e per le spese in conto capitale. 
La formalizzazione, in particolare, avviene con il decreto di accertamento dei residui, i cui prospetti allegati sono stati aggiornati proprio per tenere conto delle nuove disposizioni, finalizzate alla migliore individuazione delle somme da conservarsi in conto residui per impegni riferibili all'esercizio scaduto. A questo proposito, la circolare ricorda quali sono specificamente i contenuti previsti dalla normativa e che devono essere evidenziati, in modo dettagliato, nei prospetti da inviare alle amministrazioni interessate: tra essi, in particolare, ci sono le somme relative a ordini di accreditamento di cui è stato chiesto il trasporto, le somme che trovano riscontro in formali e documentati provvedimenti dell'amministrazione interessata regolarmente impegnate piuttosto che le eventuali somme riferibili a spese di giustizia anticipate con i fondi della riscossione ovvero pagate dagli uffici postali. Naturalmente, le somme di parte corrente che non soddisfano i requisiti specificamente previsti dalle norme, non impegnate alla chiusura dell'esercizio, costituiscono economie di bilancio, fatti salvi i casi in cui sia esplicitamente disposta una deroga.

Altra fattispecie da esaminare ai fini della rideterminazione dei residui provenienti dagli esercizi precedenti rispetto al 2016, tenuto conto dell'anno di provenienza è la nuova disciplina che distingue la parte corrente dalla parte in conto capitale.
Nel primo caso, infatti, i residui non pagati entro il secondo esercizio successivo (rispetto a quello di assunzione dell'impegno), fatti salvi i trasferimenti, costituiscono economie di bilancio a meno che l'amministrazione non dimostri, con adeguata motivazione e al competente Ufficio centrale di bilancio, la permanenza della sussistenza del debito. A tale scopo, la circolare evidenzia l'iter, i passaggi e le tempistiche per provvedere, anche rispetto all'iscrizione delle somme corrispondenti nell'ambito del conto del patrimonio.
Nel secondo caso, invece, si prevede che i residui non pagati entro il terzo esercizio successivo a quello di assunzione dell'impegno di spesa si intendono perenti agli effetti amministrativi, con la conseguenza che i residui di provenienza 2014 sono destinati a subire uno slittamento di un ulteriore anno per la conservazione in bilancio.

Passiamo poi al riaccertamento annuale delle partite debitorie iscritte nel conto del patrimonio quali residui passivi perenti, in esercizi precedenti rispetto a quello di consuntivazione, nella prospettiva di ridurre e gestire il loro stock mediante la verifica annuale delle ragioni di mantenimento. Il riaccertamento comporta l'eliminazione delle partite debitorie non più dovute con apposite scritture nel conto del patrimonio, che possono essere iscritte in bilancio su base pluriennale solo successivamente al giudizio di parifica della Corte dei conti. Operativamente, a tale scopo, il sistema informativo del patrimonio della Ragioneria generale dello Stato (Sipatr) rende disponibile agli Uffici centrali del bilancio e alle ragionerie territoriali dello Stato un apposito file excel, contenente l'anagrafe dei residui perenti oggetto di riaccertamento. Sulla base dei riscontri operati, entro il 30 aprile 2017, dovranno essere effetto le operazioni di economia dei perenti da attribuire all'esercizio finanziario 2016, utilizzando le specifiche funzioni presenti nell'ambito della procedura applicativa.

Concludendo si evidenzia che le eventuali operazioni connesse all'assunzione di impegni formali oltre la data di chiusura dell'esercizio finanziario 2016 dovevano essere disposte entro il 10 febbraio 2017, o improrogabilmente entro il 2 marzo 2017 per i soli provvedimenti assunti al protocollo a dicembre 2016 ed oggetto di formale osservazione da parte degli uffici di controllo. Si tratterebbe di alcune fattispecie particolari che riguardano i decreti di variazione di bilancio adottati in attuazione di provvedimenti legislativi pubblicati nel mese di dicembre o per la ripartizione di fondi a seguito di un provvedimento amministrativo che ne stabilisca la destinazione.
 
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