NEWS >>>

loginpa

google

autotutela

26 settembre 2014

PROROGA AL 30 NOVEMBRE 2014 DEL TERMINE PER LA PRESENTAZIONE DELLA DICHIARAZIONE IMU TASI ENTI NON COMMERCIALI, PER GLI ANNI 2012 E 2013

E' stato firmato il 23 settembre 2014, il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze che differisce dal 30 settembre 2014 al 30 novembre 2014il termine per la presentazione della dichiarazione «IMU TASI ENC» -relativa agli anni 2012 e 2013 - previsto dal comma 2 dell’art. 5 del decreto 26 giugno 2014.
 
L'adempimento riguarda gli enti non commerciali in possesso di uno o più immobili destinati almeno parzialmente all’esercizio, con modalità non commerciali, delle attività istituzionali di cui all’art. 7, comma 1, lettera i), D.Lgs. n. 504/1992.
 
La dichiarazione va presentata esclusivamente in via telematica e secondo le modalità approvate con apposito Decreto ministeriale del 26 giugno 2014 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.153 del 4 luglio).   
 
Il decreto è in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

22 settembre 2014

Nota di lettura IFEL sulla disciplina integrata IUC del 1 Settembre 2014 - DOWNLOAD

Si pubblica di seguito una Nota di lettura IFEL sulla disciplina integrata IUC (Tari, Tasi e IMU), istituita con la Legge di stabilità 2014 e modificata dal D.L. n. 16/2014.


Scarica Nota di Lettura IFEL       -         Vai al link del portale IFEL

LE CASE VUOTE PAGANO LA TARI

IL MANCATO UTILIZZO NON ESONERA DALLA TASSA RIFIUTI
 Immobili vuoti soggetti alla Tari. Il mancato utilizzo di un locale o di un'area non esonerano il contribuente dal pagamento della nuova tassa rifiuti. È questa la posizione espressa dall'Ifel, con una nota del 1°settembre scorso, su una questione dibattuta da anni e che ha fatto registrare contrastanti prese di posizione della giurisprudenza, di legittimità e di merito, e del ministero dell'economia e delle finanze.
È di fondamentale importanza questa regola, evidenziata dall'Ifel in prossimità del termine di scadenza (30 settembre) per la redazione dei regolamenti sulle entrate.
Peraltro, i comuni avrebbero dovuto tenerne conto anche negli anni precedenti per i vecchi regimi di prelievo sui rifiuti. In passato, infatti, le amministrazioni locali hanno escluso dalla tassazione gli immobili inutilizzati, se privi di allacci alle reti, idriche ed elettriche, o di mobili.
Nella nota Ifel, correttamente, viene precisato che la tassa è dovuta a prescindere dall'uso degli immobili, purché siano «potenzialmente in grado di produrre rifiuti urbani». Quindi, «indipendentemente dalla circostanza che vi sia un effettivo utilizzo del servizio pubblico». La Tari si paga se l'immobile è suscettibile di produrre rifiuti. Sono soggetti gli immobili non utilizzati, se non allacciati alle reti idriche, elettriche o se privi di mobili. I principi fissati dalla Cassazione per la Tarsu, si legge nella nota, vanno osservati anche per la Tari. Stesso discorso vale per la Tares lo scorso anno.
In effetti la Cassazione (ordinanza 18022/2013), per esempio, con una delle ultime pronunce sulla questione de qua, ha ritenuto legittima la pretesa del comune di Bologna di applicare la Tarsu a un appartamento inutilizzato. Per i giudici di legittimità, il cambio di residenza del contribuente, la denuncia di cessazione dell'occupazione dell'immobile e il mancato consumo di energia elettrica non lo esonerano dal pagamento della tassa rifiuti.
Sulla tassabilità degli immobili inutilizzati, però, Cassazione, giudici tributari e Ministero dell'economia e delle finanze sono andati in ordine sparso. E le amministrazioni comunali non hanno quasi mai applicato la regola stabilita dalla Suprema corte, la quale ha sempre posto dei limiti rigidi per l'esenzione dal pagamento. Vanno esclusi dalla tassazione solo gli immobili non utilizzabili (inagibili, inabitabili, diroccati). Non ha alcuna rilevanza la scelta soggettiva dei titolari di non utilizzarli. Anche il mancato arredo non costituisce prova dell'inutilizzabilità dell'immobile e della inettitudine alla produzione di rifiuti.
Un alloggio che il proprietario lasci inabitato e non arredato si rivela inutilizzato, ma non oggettivamente inutilizzabile. Per la prima volta il principio è stato affermato con la sentenza 16785 del 30 novembre 2002. Regola ribadita con le sentenze 9920/2003, 22770/2009, 1850/2010 e altre. Sempre la Cassazione (ordinanza 1332 del 21 gennaio 2013) ha ritenuto che l'esonero dal pagamento non spetta neppure quando il contribuente fornisca la prova dell'avvenuta cessazione di un'attività industriale (nel caso di specie, un oleificio).
Il Ministero dell'economia e delle finanze, invece, nelle linee guida che ha fornito ai comuni nel 2013 sulla Tares, ha sostenuto che non sono soggetti al pagamento le unità immobiliari privi di mobili e di allacci alle reti idriche e elettriche, che di fatto non vengono utilizzate.
Per il ministero, gli immobili inutilizzati destinati ad abitazioni private o ad attività commerciali e industriali non erano soggette al pagamento della Tares. Ma la tesi ministeriale si pone anche in contrasto con l'interpretazione che ha dato il legislatore dell'articolo 14 del dl 201/2011, contenuta nella relazione governativa, laddove ha chiarito che devono essere tassati tutti gli immobili «suscettibili» di produrre rifiuti urbani, vale a dire oggettivamente utilizzabili, a prescindere dall'effettiva produzione.

FONTE: Italia Oggi

Autore: Di Sergio Trovato

4 settembre 2014

CONTRIBUTO UNIFICATO: UNO PER OGNUNO DEGLI ATTI D'ACCERTAMENTO IMPUGNATI

Una direttiva Mef, prima, la Stabilità 2014, dopo, hanno confermato che, anche in caso di ricorso cumulativo, il pagamento va fatto in base ai valori dei singoli avvisi
legalità
L'articolo 14 del Dpr 115/2002, che impone il pagamento del contributo unificato, ha natura tributaria ed è sottratto al potere dispositivo delle parti, motivo per cui il tributo risulta dovuto per ogni singolo atto impugnato anche se con un unico ricorso cumulativo.
È quanto si desume dalla sentenza 1634/2014 della Commissione tributaria provinciale di Foggia.

Il fatto
La controversia in esame nasce dall'impugnazione di un avviso di pagamento emesso dalla segreteria della Ctp, con cui è stato intimato il pagamento, a titolo di contributo unificato, di un importo superiore al versato in occasione della proposizione di un unico ricorso avverso sette avvisi di accertamento.
Considerato il quadro normativo in materia, precedente all'entrata in vigore della legge di stabilità 2014, l'importo del contributo unificato va determinato con riferimento al "valore della controversia" (articolo 12, comma 5, Dlgs 546/1992) e deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni del ricorso (articolo 14, comma 3-bis, Dpr 115/2002).
Ciò premesso, i giudici di merito sono stati investiti della questione inerente la determinazione del contributo nell'ipotesi di ricorso cumulativo proposto avverso una pluralità di atti.

La tesi del ricorrente
La parte ricorrente, per quantificare il "valore della controversia", in forza del rinvio di cui all'articolo 1 del Dlgs 546/9192, ha invocato l'applicazione delle norme processuali dettate dal codice di procedura civile.
Nel caso in esame, dunque, troverebbe applicazione l'articolo 10 cpc, in base al quale, nell'ipotesi di pluralità di domande proposte nello stesso processo, contro la medesima persona, il valore della causa è dato dalla somma delle domande proposte.
Similmente nel processo tributario, il contributo andrebbe parametrato alla somma dei valori degli atti impugnati e non al valore dei singoli atti separatamente considerati.

La tesi dell'ufficio
Di contrario avviso l'ufficio, per cui, nel caso concreto, non trovando applicazione il rinvio alle norme del codice di procedura civile, il contributo andrebbe corrisposto per ciascun atto impugnato, secondo i rispettivi valori.
La direttiva n. 2/2012 del ministero dell'Economia e delle Finanze ha, infatti, chiarito che nel processo tributario "in caso di un unico ricorso contro più atti … il contributo unificato deve essere effettuato con riferimento ai valori dei singoli atti e non sulla somma di detti valori".
Detta linea difensiva troverebbe il suo avallo normativo nella disposizione di cui all'articolo 1, comma 598, della legge di stabilità del 2014, di carattere interpretativo e chiarificatore, che, espressamente, impone il pagamento del contributo per ogni atto impugnato.

La pronuncia della Ctp
I giudici di merito hanno, in primo luogo, attestato la natura tributaria dell'articolo 14 del Dpr 115/2002, come tale intesa all'imposizione di un tributo e pertanto sottratta al potere dispositivo delle parti.
Da ciò deriva "l'immutabilità del criterio di determinazione dell'importo che, anche nel caso in cui il contribuente scelga (come in sua facoltà) di impugnare più atti con unico ricorso, va modulato secondo i parametri fissati dalla legge, sopra richiamati, che tengono conto dell'importo del tributo relativo ad ogni atto".

In tale prospettiva, risulta non pertinente il rinvio alle richiamate norme processuali civili che disciplinano i criteri per determinare la competenza del giudice, in base al valore della controversia e stabiliscono che, in caso di più domande, si abbia riguardo al valore complessivo.
È evidente, infatti, la natura sostanziale e non processuale delle norme tributarie applicabili al caso che disciplinano l'imposizione di un tributo, "il cui importo è "per definizione" predeterminato per legge e non è modificabile per iniziativa del contribuente che opti per la proposizione di un unico ricorso contro una pluralità di avvisi".

L'accoglimento dell'opposto assunto, invero, comporterebbe una disparità di trattamento tra il contribuente che sceglie di proporre un ricorso cumulativo e il contribuente che opta per la proposizione di un ricorso per ciascun atto impugnato.

Sulla base di queste argomentazioni, la Ctp ha concluso "che anche precedentemente all'entrata in vigore della legge di stabilità del 2014, l'interpretazione della normativa allora vigente prevedesse l'imposizione del contributo in ragione del valore di ciascun atto impugnato (vale a dire, ex art. 12 comma 5 citato, secondo l'importo della pretesa erariale), essendo a tal fine irrilevante la scelta del contribuente di presentare ricorso cumulativo avverso una pluralità di atti impositivi".
Ne è conseguito il rigetto del ricorso.
Autore: Dora De Marco, Fonte: FiscoOggi

NOTIFICA “DIRETTA” O TRAMITE MESSO: ALLA POSTA, MA CON REGOLE DIVERSE

La disciplina normativa delinea modalità e tempi da rispettare con attenzione per evitare che venga dichiarata l’inammissibilità della costituzione nel giudizio tributario
testo alternativo per immagine
La disciplina della notificazione degli atti del processo dinanzi alle Commissioni tributarie soggiace a una compiuta regolamentazione, rinvenibile negli articoli 16 (quanto alle modalità) e 17 (contenente alcune regole particolari in relazione al luogo in cui effettuare la notifica) del Dlgs 546/1992.
Delle varie modalità possibili, in questa sede viene esaminata – evidenziando gli adempimenti processuali collegati – la notificazione eseguita a mezzo del servizio postale, rispettivamente in via “diretta” (articolo 16, comma 3) oppure “a mezzo... di messo autorizzato dall’amministrazione finanziaria…” (comma 4).

La notificazione in via “diretta” a mezzo del servizio postale 
In base al comma 3 dell’articolo 16 del Dlgs 546/1992, sia le parti private che l’ufficio possono eseguire le notificazioni “anche direttamente (cosiddetta notificazione “diretta”, cioè senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario o di altro agente notificatore, ndr) a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto…”.
La notificazione postale “diretta”, in base all’articolo 38, comma 2, Dlgs 546/1992, può essere utilizzata anche notificare le sentenze delle Commissioni tributarie provinciali e regionali.
Di contro, stante il disposto del successivo articolo 62, comma 2 (per il quale “Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le regole dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”), detta modalità non è ammessa nel giudizio di legittimità, in quanto non prevista dal codice di procedura civile.
La disciplina della notificazione “diretta” via posta è quella delle corrispondenze raccomandate “ordinarie” di cui al Dpr 655/1982. Di conseguenza, non si applicano le formalità previste per le notificazioni a mezzo del servizio postale eseguite dall’ufficiale giudiziario o da altro agente notificatore ai sensi dell’articolo 149 cpc e della legge 890/1982 (Cassazione, sentenze 17598/2010, 7370/2011, 6906/2014 e 12498/2014).

Notificazione “diretta” a mezzo servizio postale, in busta chiusa in luogo del plico
Come anticipato, in base all’articolo 16, comma 3, del Dlgs 546/1992, la notificazione eseguita “direttamente” tramite il servizio postale si effettua “mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento…”.
Con riguardo all’inciso sottolineato, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che:
  • il vizio della notificazione postale con busta chiusa, anziché del plico, “costituisce una mera irregolarità se… il contenuto della busta e la riferibilità alla parte non siano contestati …” (Cassazione, sentenze 8172/2011, 19519/2011, 30747/201, 966/2013, 9576/2013, 18252/2013 e 23117/2013); in questa ipotesi, ha precisato la Corte suprema, per la valutazione della tempestività dell’invio postale, fa fede la data di spedizione (Cassazione, sentenze 3146/2011, 8172/2011, 30747/2011 e 9576/2013)
  • laddove, invece, la controparte costituita contesti il contenuto della busta e la riferibilità dell’invio al notificante, è “onere del ricorrente o dell’appellante dare la prova dell’infondatezza della contestazione formulata” (stessa giurisprudenza richiamata nel punto precedente)
  • l’impiego della busta anziché del plico, laddove l’atto venga ricevuto dal destinatario, che tuttavia non si sia costituito in giudizio, rende nulla la notificazione e il giudice adito deve ordinarne la rinnovazione ai sensi dell’articolo 291 cpc; l’eventuale sentenza emessa senza che sia stato disposto il rinnovo della notifica è affetta da nullità (Cassazione, sentenze 8846/2010, secondo cui, in questo caso, il vizio di nullità scaturisce dalla violazione di un requisito essenziale di forma).
Notificazione del ricorso o dell’appello principale in via “diretta” a mezzo del servizio postale
Laddove il ricorso o l’appello principale siano stati notificati in via “diretta” a mezzo del servizio postale, devono essere tra l’altro garantiti alcuni specifici adempimenti procedurali, la cui omissione o intempestività è sanzionata con l’inammissibilità dell’atto. Eccoli nel dettaglio.

Deposito di fotocopia della ricevuta di spedizione postale
In base agli articoli 22 (per il ricorso) e 53 (che rende applicabile all’appello la disciplina dell’articolo 22) del Dlgs 546/1992, gli atti introduttivi del giudizio tributario di primo e secondo grado devono essere depositati presso la segreteria della Commissione tributaria adita, entro trenta giorni dalla loro proposizione.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 22 stabilisce, tra l’altro, che il ricorrente, entro il precisato termine, a pena d’inammissibilità, deposita la “fotocopia della ricevuta… della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale”.
Al riguardo, la Corte di legittimità ha sottolineato che il mancato deposito, nel termine per la costituzione in giudizio, della ricevuta “è sanzionata - al pari dell’omesso deposito della copia del ricorso - con l’inammissibilità dell’impugnazione, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, e non sanabile neppure per effetto della costituzione del resistente (conf. Cass. 24182/06, 1025/08)” (Cassazione, sentenze 7373/2011, 8664/2011 e 10312/2011), né attraverso la tardiva produzione del documento mancante (Cassazione, sentenza 20787/2013).
Sul punto, è stato altresì chiarito che, poiché la data di spedizione del plico, indispensabile per il controllo della tempestività della notifica, “è normalmente riportata anche nell’avviso di ricevimento…, la presenza o meno in atti della ricevuta di spedizione postale del ricorso è processualmente ininfluente ove sia comunque prodotto tempestivamente (vale a dire, entro il termine per la costituzione in giudizio, ndr) l’avviso di ricevimento del plico” (Cassazione, sentenze 23593/2012 e 7645/2014).
Nonostante quanto precisato dalla giurisprudenza da ultimo richiamata, prudenzialmente, in caso di notificazione del ricorso o dell’appello principale in via “diretta” a mezzo del servizio postale, si deve provvedere, entro il termine per la costituzione in giudizio, al deposito nella segreteria della Commissione tributaria adita della fotocopia della ricevuta di spedizione dell’impugnazione oltre che degli altri documenti allegati all’atto di impugnazione.

Deposito dell’avviso di ricevimento della raccomandata
Al fine di dimostrare l’effettiva ricezione da parte del destinatario non costituito in giudizio del ricorso/appello spedito a mezzo del servizio postale e, quindi, la corretta instaurazione del contraddittorio, il ricorrente/appellante è tenuto a depositare presso la segreteria della Commissione tributaria copia dell’avviso di ricevimento della raccomandata utilizzata per l’invio dell’atto.
Al riguardo, con orientamento consolidato, la Cassazione ha chiarito che “nel processo tributario, allorché l’atto di appello (ma il medesimo principio vale anche con riguardo al ricorso, ndr) sia notificato a mezzo del servizio postale… e l’appellato non si sia costituito, l’appellante ha l’onere - a pena di inammissibilità del gravame - di produrre in giudizio, prima della discussione, l’avviso di ricevimento attestante l’avvenuta notifica, od in alternativa di chiedere di essere rimesso in termini… per produrre il suddetto avviso e di essersi attivato per tempo nel richiedere un duplicato all’amministrazione postale, previa dimostrazione di averlo incolpevolmente perduto” (Cassazione, sentenze 23188/2012, 12284/2013 e 16906/2013).
Il termine ultimo entro il quale deve essere effettuato il deposito in questione è stato fissato dalla giurisprudenza di legittimità nei venti giorni liberi prima della data di trattazione, previsti dal comma 1 dell’articolo 32 del Dlgs 546/1992 per il deposito dei documenti (Cassazione, sentenze 3006/2008, 3343/2011 e 4340/2011).

Deposito di copia dell’appello presso la segreteria del giudice a quo
Con specifico riguardo alla ritualità dell’atto di appello, occorre altresì tener conto di quanto stabilito dall’articolo 53, comma 2, secondo periodo, del Dlgs 546/1992, ai sensi del quale: “Ove il ricorso non sia stato notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata”.
Il deposito di copia dell’appello presso la Ctp a quo deve essere effettuato entro il termine – di trenta giorni dalla proposizione del ricorso/appello – stabilito per la costituzione in giudizio del ricorrente/appellante, secondo quanto chiarito con orientamento consolidato dalla Corte costituzionale (sentenze 321/2009, 43/2010, 17/2011 e 141/2011) e dalla Cassazione (tra le più recenti, 8963/2013, 202532013, 4817/2014, 4818/2014, 4819 /2014 e 12861/2014).
Per garantire la corretta esecuzione dell’onere in parola e per evitare possibili contestazioni di controparte o rilievi d’ufficio da parte del giudice, è altresì necessario: allegare alla copia dell’appello depositato presso la segreteria della Ctp che ha emesso la sentenza impugnata la fotocopia della ricevuta della spedizione del medesimo atto per raccomandata a mezzo del servizio postale; depositare, in sede di costituzione in giudizio presso la Ctr, oltre ai documenti di rito, anche la copia della ricevuta in cui la segreteria del giudice di prime cure attesta l’avvenuto deposito presso di essa della copia dell’atto di appello.

Notificazione a mezzo del servizio postale tramite messo comunale o messo “autorizzato”
In base a quanto previsto dall’articolo 16, comma 4, del Dlgs 546/1992, l’ufficio (non le parti private, quindi) provvede alle notificazioni degli atti del processo tributario anche “a mezzo del messo comunale o di messo autorizzato dall’amministrazione finanziaria (di seguito, per brevità, messo “autorizzato”) con l’osservanza delle disposizioni di cui al comma 2”, vale a dire secondo le norme in tema di notificazioni dettate dal codice di rito civile.
Ai messi, dunque, è consentito procedere alle notificazioni anche avvalendosi del servizio postale.
In questa ipotesi, non trattandosi di notificazione eseguita “direttamente”, occorre fare riferimento alla disciplina dell’articolo 149 cpc e alle specifiche modalità fissate dalla legge 890/1982.
Al proposito, va ricordato che, nel caso in cui l’agente abbia notificato l’atto tramite il servizio postale, tenuto conto del generale principio di “anticipazione degli effetti” – principio in virtù del quale, gli effetti di ogni tipo di notificazione devono essere ricollegati, per quanto riguarda il notificante (e sempre che il procedimento notificatorio si perfezioni nei confronti del destinatario), al solo compimento delle formalità a esso direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto all’agente notificatore, essendo la successiva attività di quest’ultimo sottratta al controllo e alla sfera di disponibilità del notificante medesimo – la tempestività della notificazione deve essere verificata in modo diverso a seconda che la spedizione postale sia stata eseguita:
  • dal messo comunale (o dall’ufficiale giudiziario), nel qual caso la tempestività va valutata con riguardo alla data in cui l’atto è stato consegnato all’agente notificatore, anche quando la spedizione del piego sia stata da questi effettuata a distanza di giorni dalla consegna stessa
  • dal messo “autorizzato” dell’ufficio, nel qual caso la tempestività va verificata con riguardo al giorno in cui l’atto è stato da questi consegnato all’ufficio postale per il successivo inoltro al destinatario (in pratica, non opera l’anticipazione degli effetti, perché il messo “autorizzato” non è soggetto terzo rispetto all’ufficio notificante).
Adempimenti procedurali
Laddove l’appello principale dell’ufficio sia stato notificato a mezzo del servizio postale tramite l’intermediazione del messo comunale o del messo “autorizzato”, per assicurare la ritualità dell’impugnazione, è necessario provvedere a:
  • depositare copia integrale del gravame, completo di copia della relata di notificazione e della fotocopia della ricevuta della spedizione, presso la segreteria della Ctp che ha emesso la sentenza impugnata, entro il termine di trenta giorni dalla notifica
  • depositare, in sede di costituzione in giudizio presso la Ctr, l’appello in originale completo della relazione di notificazione, gli altri documenti di rito e la copia della ricevuta in cui la segreteria della Commissione tributaria provinciale attesta l’avvenuto deposito presso di essa della copia dell’atto di appello.
Conclusioni
È bene dunque puntualizzare in sintesi che, al fine di evitare eventuali declaratorie di inammissibilità della costituzione nel giudizio di secondo grado, nel caso di notificazione dell’appello eseguita avvalendosi del servizio postale occorre distinguere due ipotesi, che soggiacciono a regime diversificato:
  • laddove l’interessato (parte privata o ufficio) si avvalga in via “diretta” del mezzo postale, per la ritualità della costituzione in giudizio è richiesto il deposito, presso la segreteria della Commissione tributaria regionale, di “copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale” (articolo 22, comma 1, Dlgs 546/1992, richiamato dal successivo articolo 53)
  • laddove, invece, lo strumento postale venga utilizzato dall’agente notificatore (ufficiale giudiziario per la parte privata; ufficiale giudiziario, messo comunale o “autorizzato”, per l’ufficio), sempre il comma 1 dell’articolo 22 richiede il deposito in segreteria “dell’originale del ricorso notificato a norma degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile”.
Autore: Massimo Cancedda, Fonte: FiscoOggi

COMUNI: ANCORA UNA SETTIMANA PER TRASMETTERE LE DELIBERE TASI

Scade il 10 settembre il termine per l'invio telematico degli atti. Si potrà così rispettare l'appuntamento del 16 ottobre per il pagamento della prima rata, già rinviato a giugno
Gli enti locali che non vi hanno provveduto entro il 23 maggio devono approvare i regolamenti e le delibere riguardanti aliquote e detrazioni relative al tributo per i servizi indivisibili, e inserirli nel portale del Federalismo fiscale. L'operazione consentirà di chiamare i contribuenti al versamento della prima rata della Tasi entro il prossimo 16 ottobre.Il dipartimento delle Finanze, con una nota Prot. n. 28926 Roma del 2 settembre 2014, ricorda le modalità di trasmissione, gli effetti del mancato invio e la natura dei documenti da pubblicare.


Le modalità d'invio:
La trasmissione degli atti deve avvenire esclusivamente in via telematica, con l'inserimento nel portale del Federalismo fiscale. La nota ministeriale specifica che non saranno presi in considerazioni altri sistemi di spedizione, quali posta tradizionale, fax o posta elettronica, anche se certificata.I Comuni, per accedere al portale, devono essere in possesso delle necessarie credenziali. Per ottenerle o per eventuali difficoltà relative all'accesso, sul sito è disponibile una sezione con le opportune istruzioni operative.

Gli effetti del mancato invio:
La pubblicazione degli atti sul sito delle Finanze entro il 18 settembre costituisce la condizione di efficacia delle delibere di approvazione delle aliquote e dei relativi regolamenti.
Il mancato invio entro il 10 settembre comporterà l'applicazione, per il 2014, dell'aliquota base dell'1 per mille e lo slittamento del pagamento al 16 dicembre, in unica rata.In questa ipotesi, però, bisognerà tenere conto che l'aliquota complessiva di Tasi e Imu non può essere superiore a quella fissata per la sola Imu al 31 dicembre 2013.Anche le eventuali agevolazioni per le abitazioni principali sono legate all'approvazione delle delibere e alla loro pubblicazione. Pertanto, i Comuni che vogliono abbattere l'imposta per questo tipo di immobili, dovranno provvedere a inserire tempestivamente la delibera nel portale.

La natura degli atti da trasmettere:
La nota delle Finanze precisa che non saranno presi in considerazione (quindi, non saranno pubblicati) atti diversi dalle deliberazioni di determinazione delle aliquote o di approvazione dei regolamenti, quali, ad esempio, prospetti riepilogativi delle aliquote, comunicati degli uffici comunali o altri documenti con semplici proposte, ancora da sottoporre al Consiglio comunale. Né influisce sul termine del 10 settembre la proroga concessa fino al 30 dello stesso mese per l'approvazione del bilancio degli enti locali.
 
Copyright © 2019 Geropa Srl - Gestione Entrate e Riscossione Entrate Locali
Powered by Geropa